
IMPARARE A IMPARARE: TRE COSE DA SAPERE PER FACILITARE L’APPRENDIMENTO DI TUO FIGLIO
Negli ultimi anni le ricerche nell’ambito delle neuroscienze hanno evidenziato il ruolo significativo delle emozioni nei processi di apprendimento; in particolare sembrerebbe che funzioni cognitive come memoria, comprensione, attenzione siano profondamente influenzate dalle emozioni e sensazioni che proviamo e quindi dal modo in cui apprendiamo.
In questo articolo voglio indicarti tre aspetti su cui riflettere che possono aiutarti a sostenere tuo figlio mentre impara e, soprattutto, possono evitarti alcuni errori molto frequenti.
La prima cosa da sapere è che quando impariamo non acquisiamo soltanto un contenuto ma facciamo un’esperienza: nella nostra memoria pertanto vengono immagazzinate non solo le informazioni studiate ma anche le emozioni sperimentate.
Il fatto che le emozioni accompagnino i processi di pensiero ha un importante risvolto dal punto di vista comportamentale: tutti noi infatti siamo portati a ricercare le cose piacevoli e a evitare ciò che ci crea fastidio o angoscia.
In questo senso, creare esperienze di apprendimento soddisfacenti, cioè associate a emozioni positive, significa aumentare di molto le probabilità che tuo figlio viva in modo gioioso la possibilità di imparare e ricerchi attivamente questa esperienza. Al contrario è stato dimostrato che le emozioni di alert come la paura, la vergogna e il senso di colpa, creando dei cortocircuiti che interferiscono con l’apprendimento provocano un senso di rifiuto nei bambini e inibiscono le loro risorse personali.
Creare situazioni di apprendimento positive, tuttavia, diversamente da quanto siamo pensati a credere non significa eliminare lo sforzo o la fatica dall’esperienza quanto piuttosto costruire quel livello di sfida ottimale che la psicologa Susan Harter considera essenziale per stimolare la voglia di imparare nei bambini e nei ragazzi.
Tuo figlio dovrebbe affrontare difficoltà che siano commisurate alle sue capacità per evitare che compiti troppo facili siano percepiti come noiosi o, al contrario, prove difficili siano vissute come demotivanti o scoraggianti.
Cosa puoi fare tu come genitore da questo punto di vista? Un primo passo è quello di imparare a calibrare l’aiuto che offri, distinguendo le situazioni in cui devi solo osservare, quelle in cui devi fornire delle facilitazioni e quelle in cui è giusto intervenire concretamente per un supporto.
Osservati per capire se sei capace di modulare i tuoi interventi e le tue emozioni: alcuni entrano in ansia di fronte alle difficoltà dei propri figli (spesso rivedendo le proprie), altri si mostrano impazienti o infastiditi per incapacità che non accettano, altri ancora non riescono a individuare differenze tra le diverse situazioni. In generale sii paziente e ricordati che l’incoraggiamento e la fiducia sono più potenti di minacce e punizioni.
Infine ultimo e forse più importante aspetto da considerare è il fatto che le emozioni positive si alimentano in modo virtuoso attraverso il senso di competenza.
Il sentirsi capaci è un interruttore potentissimo della motivazione che spinge a esplorare il nuovo, a impegnarsi sempre di più e a progredire nell’apprendimento. Aiutare tuo figlio a sentirsi capace è pertanto uno degli obiettivi a cui puntare nell’apprendimento. In questo senso confidare nella possibilità di imparare e migliorarsi sempre, anche quando i risultati sembrano non arrivare, è l’atteggiamento mentale che riesce a fare la differenza. Ricordati di applicare questa forma mentis anche a te stesso perché spesso i bambini imitano i loro genitori o le figure significative da cui, è dimostrato, apprendono non solo i comportamenti ma anche stati animo e atteggiamenti.
Spero che questo articolo ti sia stato utile e se pensi possa interessare a qualcuno che conosci ti chiedo di condividerlo.
Se hai bisogno di una consulenza per sentirti più efficace nel supportare tuo figlio contattami e sarò felice di aiutarti.
Per approfondire:
Lucangeli, D. ( 2019). Cinque lezioni leggere sull’emozione di apprendere. Erickson, Trento
Leggi tutto
Tuo figlio va a scuola? Tre cose che dovrebbe imparare
A scuola non è solo il rendimento quello che conta. Tuo figlio può acquisire competenze trasversali e sviluppare risorse personali che lo aiuteranno nella vita e che sono fondamentali per il suo benessere psicologico.
Leggi tutto
Comunicare con un figlio adolescente è davvero impossibile? Tre cose che devi sapere
L’adolescenza è un momento delicato nella vita dei ragazzi ma spesso risulta un periodo tumultuoso anche all’interno delle famiglie: i genitori, infatti, possono avere difficoltà a gestire i cambiamenti comportamentali dei propri figli e, in alcune occasioni, mantenere un clima sereno può rivelarsi un’impresa ardua.
In questa fase della vita ogni ragazzo ha un compito evolutivo importante da raggiungere: definire la propria identità e prepararsi a entrare nel mondo degli adulti; i comportamenti di opposizione, squalifica, braccio di ferro e a volte chiusura che gli adolescenti mettono in atto nei confronti dei genitori, seppur difficili da gestire, rappresentano una tappa obbligata nel loro viaggio di “scoperta” del mondo.
Sebbene sia difficile dare consigli generali su come gestire un adolescente, è possibile evidenziare alcune strategie comunicative che, se utilizzate di frequente, possono risultare disfunzionali perché aumentano la distanza tra genitori e figli. Eccone tre da ricordare e da… limitare il più possibile!
Evita il “ci sono passato anche io” quando parli con tuo figlio adolescente
Una modalità piuttosto frequente è quella di offrire sostegno, comprensione e aiuto ai propri figli cercando di ridimensionare le loro esperienze spiacevoli (delusioni d’amore, insuccessi scolastici, fallimenti sportivi, perdite di amicizia) con il racconto delle proprie esperienze passate.
I discorsi iniziano quasi sempre con la parola “anche io” e offrono la descrizione particolareggiata di adolescenze passate in cui mamma o papà hanno vissuto avvenimenti simili a quelle del proprio figlio.
Sebbene l’intento dei genitori di condividere parti della loro vita sia lodevole e fatto ovviamente con le migliori intenzioni, raramente raggiunge il risultato sperato: questa modalità di rapportarsi ai propri figli, infatti, soprattutto se viene utilizzata di frequente o peggio ancora se messa in atto in momenti in cui i ragazzi si mostrano scostanti o riluttanti ad aprirsi, tende ad aumentare le distanze.
Perché non funziona?
L’adolescente si sente speciale, unico, spesso incompreso, soprattutto quando vive per la prima volta emozioni forti legate all’amore, al rifiuto, al fallimento.
Sottolineare l’universalità di queste esperienze, toglie ai ragazzi quel senso di unicità e specialità che dà senso alla loro sofferenza.
Spiegargli che avranno altri amici, che non si muore d’amore, che anche voi siete stati male ma siete sopravvissuti, rende il loro dolore banale e non vi aiuta ad entrare in sintonia con le loro emozioni.
Cosa è più utile fare
La cosa più utile da fare è accettare le loro emozioni e imparare a sopportare il disagio di vederli in difficoltà senza intervenire.
Se si aprono con voi, mostrate comprensione e fategli domande, se si chiudono rispettate il loro loro silenzio.
Evita la lettura del pensiero e delle emozioni: domanda piuttosto che sentenziare
Emozioni forti e comportamenti sopra le righe sono all’ordine del giorno in adolescenza.
Sebbene la rabbia, l’irritazione o il dolore dei vostri figli vi sembrino evidenti, evitate di dare le loro emozioni per scontate e di verbalizzarle al loro posto.
I ragazzi non amano che qualcuno definisca al posto loro come si sentono e, se ci riflettete, sono sicura che anche a voi risulta fastidioso quando altri (amici, partner, parenti) sottolineano il vostro stato d’animo, senza avervi chiesto nulla. Espressioni come “oggi non ti si può parlare per quanto sei nervoso, ma perché sei così arrabbiato, etc”, sono da evitare.
Perché non funziona?
Impossessarsi degli stati d’animo e delle emozioni altrui senza chiederne conferma è un atto aggressivo ed estremamente invadente, oltre che di nessuna utilità.
A volte i ragazzi faticano a prendere coscienza delle loro emozioni e sostituirsi a loro nel definirle, di certo non aiuta.
Può capitare, inoltre, che la nostra lettura delle emozioni dell’altro risulti errata; in questi casi causiamo risentimento nell’interlocutore e spesso finiamo proprio per indurre le emozioni spiacevoli che avevamo falsamente identificato.
Cosa è più utile fare
Se ti sembra che tuo figlio/a non stia bene o se noti dal suo non verbale qualcosa di strano, chiedi piuttosto che sentenziare. Usa sempre il condizionale e metti in conto di poterti sbagliare. “ Oggi mi sembri diverso, è una mia impressione o c’è qualcosa che non va?”
Lascia sempre a tuo figlio la possibilità di autodefinire cosa prova e come si sente.
Evita le prediche e i sermoni: ottengono l’effetto contrario
Se vuoi cambiare un comportamento di tuo figlio o vuoi convincerlo di qualcosa smettila di predicare perché otterrai l’effetto contrario, oltre a sprecare molte energie e sentirti avvilito per gli scarsi risultati.
Perché non funziona?
Le ragioni degli adulti sono considerate poco interessanti e non vengono ascoltate perché considerate frutto di un mondo antiquato da cui ci si vuole emancipare e a cui non si vuole aderire.
Inoltre ogni tipo di contenuto quando veicolato sotto forma di predica tende ad essere rigettato, insieme al predicatore…
Cosa è più utile fare
Fai in modo che tuo figlio inizi a sperimentare le conseguenze delle sue azioni. Se gli hai lasciato libertà, fai in modo che la viva fino in fondo.
Scegli con cura e in base all’età e alla maturità che dimostra gli ambiti in cui puoi concedergli autonomia e poi lasciagli la responsabilità totale delle scelte e … della gestione delle conseguenze.
Nulla insegna di più degli errori che facciamo liberamente.
Spero che questo articolo ti sia stato utile e, se pensi che possa aiutare qualcuno che conosci, ti chiedo di condividerlo.
Ricordati che le strategie indicate possono aiutarti se vivi una situazione in cui le difficoltà sono ancora gestibili; se invece sei in grande affanno, ti sembra di aver perso il controllo o peggio temi per il benessere psicologico di tuo figlio, allora chiedi aiuto a un professionista.
Se vuoi contattarmi per un supporto in presenza o on line trovi tutti i riferimenti sul mio sito.
Leggi tutto

Tutti a casa ai tempi del Coronavirus: dieci suggerimenti per la serenità della tua famiglia e … la tua!
Tutti a casa ai tempi del Coronavirus: dieci suggerimenti per favorire la serenità della tua famiglia e… la tua!
In questi giorni a causa del Covid-19 sono cambiate le abitudini di tutti noi e le famiglie hanno dovuto riorganizzare tempi e modi di stare insieme.
Per gestire al meglio la situazione in attesa che l’emergenza passi e si torni alla normalità, voglio darti dieci suggerimenti che possono aiutarti a mantenere la serenità per la tua famiglia e per te stesso.
Informati e comunica in modo equilibrato.
Informazione e comunicazione sono la prima cosa a cui dovresti prestare attenzione perché hanno un impatto elevato sul clima familiare e sulla tua tranquillità.
Evita due atteggiamenti estremi che producono entrambi effetti nefasti: considerare il Coronavirus un argomento tabù o, al contrario, parlarne in modo incessante durante la giornata.
Spiega ai tuoi figli quello che sta succedendo in modo chiaro e sintetico, rispondi alle loro domande e ai loro dubbi ma poi concentra l’attenzione tua e della tua famiglia su altro. Per farlo evita l’eccesso di informazione da social e da tv, che contribuisce solo ad aumentare l’angoscia e il senso di impotenza.
Per rimanere aggiornati servono pochi minuti al giorno: ti basterà guardare un tg o il comunicato giornaliero della protezione civile o leggere le notizie da una fonte ufficiale.
Vestiti e cura il tuo aspetto anche in casa
Per mantenersi energici, attivi e ottimisti è importante curare il nostro corpo e il nostro aspetto perché così facendo inviamo messaggi positivi al cervello. Vedersi trasandati e in pigiama da mattina a sera a lungo andare diventa deprimente.
Mantenere un aspetto ordinato e piacevole è, invece, un fattore in grado di modificare positivamente l’umore e lo stato d’animo.
Vestiti e fai lo stesso con i tuoi figli, e non rinunciate né tu né il tuo partner a quelle abitudini che sono legate all’uscire di casa: pettinarsi, mettersi il profumo, truccarsi, farsi la barba…
Crea e mantieni delle routine
In questo momento in cui abbiamo dovuto abbandonare molte delle attività che scandivano le giornate, creare delle nuove routine è molto importante.
Puoi scegliere tu come organizzare il tempo, secondo le esigenze della tua famiglia, ma ricordati di alternare momenti di piacere a momenti dedicati ad attività più impegnative.
Creare degli spazi dedicati allo studio, al lavoro, al gioco, alla cura della casa, alla cura di sé, contribuisce a scandire il tempo con regolarità e questo aiuta soprattutto i più piccoli, che hanno bisogno di prevedibilità, ma in generale rende le giornate più produttive e meno faticose anche per gli adulti.
Fai movimento
Riserva uno spazio della giornata al movimento. La sedentarietà incide negativamente sull’umore oltre a debilitare il fisico.
Non servono grandi sforzi e già con venti/trenta minuti al giorno di esercizi puoi sentirti meglio.
Scegli tu come muoverti e come far muovere i tuoi figl : puoi fare esercizi a corpo libero (su internet trovi una grandissima scelta), utilizzare una corda, una cyclette ma puoi anche inventarti soluzioni più divertenti come mettere un cd e ballare tutti insieme.
Alimentati in modo sano
So che in questi giorni di privazioni e divieti il rischio di gratificarsi con cibo spazzatura è grande. Eppure, mai come ora, seguire una alimentazione equilibrata può aiutarti a mantenere salute, energia e vitalità.
Se hai tempo, utilizzalo per cucinare piatti gustosi e sani o per sperimentare insieme alla tua famiglia ricette nuove. Ci sono profumi e sapori che in poco tempo mettono di buon umore…
Mantieni le relazioni utilizzando la tecnologia
Non possiamo abbracciarci, baciarci, toccarci ma possiamo facilmente rimanere in contatto.
Siamo fortunati a vivere in un’epoca in cui la tecnologia è capace di ridurre le distanze e farci sentire connessi anche con persone lontane.
Sfrutta queste potenzialità: videochiama gli amici, i parenti, i compagni di scuola dei tuoi figli. E’ possibile, utilizzando alcune piattaforme, avere collegamenti multipli e parlare con più persone. Sperimenta un caffè o un aperitivo a distanza!
Continuare a parlarsi e a vedersi, seppur in uno schermo, è un modo per sentirsi uniti e meno soli.
Ricava del tempo per te
Se sei in casa con tutta la tua famiglia può essere difficile ritagliarti un po’ di tempo per te stesso, eppure potersi dedicare ad attività piacevoli (leggere, scrivere, guardare una serie tv, spalmarsi una crema profumata, stare alla finestra) è importante perché ti permette di rilassarti e ricaricarti.
Soprattutto se hai figli piccoli, organizzati con il tuo partner in modo che ciascuno possa avere almeno mezz’ora di pausa nella giornata dalle incombenze domestiche e dalla cura della prole.
Regalarti del tempo ti aiuterà a impiegare il resto della giornata in modo più produttivo
Libera la fantasia
Siamo gli unici esseri viventi che, pur confinati in una stanza, possono andare dove vogliono e fare ciò che vogliono… attraverso la fantasia.
La storia è piena di persone che sono riuscite a superare difficoltà o situazioni critiche utilizzando il potere delle loro menti di portarli altrove.
Puoi usare la fantasia in mille modi: per creare storie per i tuoi figli, per immaginare il futuro, per fantasticare su persone e luoghi.
I bambini ma anche i ragazzi si divertono se stimolati a utilizzare la fantasia.
Cosa farete quando tutto questo sarà finito? Dove andrete ? Come riorganizzerete le vostre giornate? Queste sono solo alcune delle domande che puoi farti e fare ai tuoi figli. Parlare e fantasticare sul futuro può aiutare a vivere meglio il presente.
Accetta le emozioni
Stiamo vivendo qualcosa di veramente straordinario, che immaginavamo potesse accadere solo nei film apocalittici.
E’ normale sentirsi spaventati, preoccupati, ansiosi, angosciati e impotenti.
Datti il permesso di provare queste emozioni e nei momenti in cui ti senti particolarmente demoralizzato appoggiati a chi vive con te o, se sei solo, chiama persone di cui ti fidi e che possano sostenerti.
Se sono i tuoi figli ad essere preoccupati ascoltali, confortali e soprattutto sottolinea che tante persone stanno lavorando per far sì che la situazione si risolva al meglio. Spiegagli che rimanere a casa è un modo in cui tutti possiamo fare qualcosa affinchè il virus rimanga … a bocca asciutta!
Chiedi aiuto
Se i momenti di tristezza, spavento angoscia diventano frequenti e hai difficoltà a gestirli, non esitare e chiedi aiuto.
Chiedi aiuto anche se sono i tuoi figli o un tuo familiare ad avere difficoltà.
Ci sono molti psicologi che, in questo momento, lavorano on line e che possono offrirti un supporto specializzato per superare disagi e difficoltà emotive.
Vedrai che andrà tutto bene, uniti ce la faremo a superare questo momento!
Leggi tutto

Ti sembra di non raggiungere risultati con tuo figlio? Tre cose che devi sapere
Se stai leggendo questo articolo è perché probabilmente anche tu, come molti genitori, ti stai impegnando per raggiungere dei risultati con tuo figlio ma ti sembra di non essere sulla strada giusta; può trattarsi di comportamenti o atteggiamenti di tuo figlio che stai cercando senza successo di eliminare, di nuove abitudini che non riesci a fargli acquisire o di difficoltà che non riesci a gestire e che riguardano più ambiti.
Se senti che la situazione ti sta sfuggendo di mano e limita la tua quotidianità ti consiglio di rivolgerti ad un esperto e non indugiare oltre; se invece si tratta di difficoltà di minore entità può esserti utile leggere questo articolo e riflettere su questi tre punti.
Per prima cosa ricordati che qualunque risultato tu voglia raggiungere con tuo figlio puoi farlo solo se riesci a definire in modo semplice ma concreto cosa ti aspetti di ottenere.
Ti sembrerà banale ma obiettivi come “ vorrei che mio figlio fosse più ubbidiente, vorrei che diventasse più autonomo, vorrei che aumentasse la sua autostima” sono dichiarazioni di principio che non ti consentiranno di verificare se stai andando nella giusta direzione. Per sapere se ti stai muovendo bene e se stai facendo progressi può essere invece utile farti una serie di domande.
Cosa vorrei vedere di diverso in mio figlio per essere soddisfatto? Quali comportamenti vorrei che adottasse o che eliminasse? Quali sono i primi miglioramenti che posso ragionevolmente aspettarmi?
Rispondere a queste domande può servirti a ridimensionare obiettivi eccessivi, può farti notare comportamenti positivi che stai ignorando o, semplicemente, può aiutarti a inserire una gradualità nelle aspettative che hai nei suoi confronti(per intenderci se fino ad oggi tuo figlio è stato un piccolo Attila, non diventerà un angioletto in una settimana; allo stesso modo se si comporta in modo timido e impacciato in poco tempo non si trasformerà in un bimbo chiacchierone e spigliato).
Rimanere ancorato a comportamenti concreti ti è utile anche per comunicare con tuo figlio: esplicitagli chiaramente cosa ti aspetti che faccia ed evita espressioni generiche tipo “alla festa fai il bravo” o “ non comportarti come fai sempre”.
La seconda cosa su cui vorrei ti soffermassi riguarda la tua autodisciplina nel perseguire gli obiettivi di cambiamento di tuo figlio.
Se il risultato che vuoi raggiungere riguarda l’acquisizione/eliminazione di alcuni comportamenti è ovvio che il tuo lavoro non può che essere quotidiano.
So che sembra banale, ma spesso ci ricordiamo dei cambiamenti che vogliamo promuovere nei bambini e adolescenti soltanto in circostanze che ci espongono al giudizio sociale (feste, riunioni familiari, lamentele degli insegnanti) o quando le situazioni raggiungono un livello tale per cui diventano intollerabili.
Nella quotidianità, invece, spesso lasciamo correre comportamenti per stanchezza, incertezza sul da farsi, frustrazione.
Se vuoi raggiungere dei risultati con tuo figlio costanza e pazienza dovrebbero diventare tue alleate e dovresti lavorare con lui su piccole cose tutti i giorni.
Prova a fare questo esperimento: comincia a segnare sul calendario ogni giornata in cui ti ricordi di fare qualcosa affinché tuo figlio raggiunga l’obiettivo che hai fissato per lui.
Non pensare a grandi sforzi o azioni eclatanti: spesso potrebbe essere utile anche un passo indietro da parte tua, come ad esempio osservare tuo figlio nelle piccole difficoltà quotidiane e evitare di intervenire, lasciando che sperimenti le sue risorse.
Permettimi ora per concludere un’ultima riflessione che può esserti utile se pensi di averle provate tutte e ti trovi in una situazione di stallo.
Quando siamo dentro ad un problema le nostre capacità di ragionamento non sempre sono lucide; pensiamo di fare e provare cose diverse ma spesso ricorriamo a tentativi di soluzione che si basano su una logica identica: per esempio, urlare con tuo figlio, metterlo in punizione, requisirgli i giochi rappresentano comportamenti solo apparentemente differenti ma identici nella sostanza e, purtroppo, quasi sempre anche negli effetti.
Per ragionare in modo diverso ti lascio suggerendoti una domanda strategica che spesso viene usata nei processi di problem solving come domanda stimolo per aprire prospettive nuove: “se invece di risolvere il problema con mio figlio io volessi per assurdo peggiorarlo, cosa dovrei fare o evitare di fare? Se invece di migliorare la situazione volessi complicarla di più come mi dovrei comportare?”
Metti per iscritto le risposte che ti vengono in mente e… rileggile con calma.
Potresti rimanere sorpreso da quello che leggerai e magari potresti accorgerti che molti dei tuoi tentativi di soluzione vanno nella direzione sbagliata.
D’altra parte, come ci ricorda il grande psicologo Paul Watzlawick, se provo ripetutamente e senza successo a risolvere un problema, ad un certo punto dovrei iniziare a pensare che i miei tentativi di soluzione siano proprio ciò che contribuisce ad alimentare e mantenere in vita la situazione che voglio cambiare.
Per approfondire:
Nardone, G. (2009). Problem solving strategico da tasca. Ponte alle Grazie.
Leggi tutto

Quattro cose da sapere sul bullismo
Negli ultimi quindici anni l’attenzione sul bullismo è cresciuta a dismisura, complici purtroppo numerosi episodi di violenza verificatisi tra bambini e adolescenti, alcuni anche dagli esiti infausti.
Sebbene si parli molto di quest’argomento, è presente ancora una grande confusione sul tema e spesso i genitori si interrogano per capire se alcune frasi, prese in giro, episodi aggressivi siano atti di bullismo o semplici bravate di ragazzi o bambini più vivaci.
In questo articolo pertanto voglio spiegarti quattro semplici cose sul bullismo che forse non sai.
Si definisce bullismo un atto aggressivo intenzionale, ripetuto nel tempo verso qualcuno che non è nelle condizioni di potersi difendere.
Questo vuol dire che affinché un atto sia considerato bullismo deve essere posto in essere in maniera sistematica e non isolata, con la chiara volontà di offendere o di aggredire e, soprattutto, deve essere caratterizzato da un asimmetria di forza: chi aggredisce o offende deve trovarsi in una condizione di superiorità fisica o psicologica rispetto alla vittima, che invece è in uno stato di vulnerabilità.
Questa semplice definizione può essere una prima cartina tornasole se anche tu come genitore ti stai chiedendo se tuo figlio è vittima di bullismo o se lui stesso si sta comportando come bullo nei confronti di altri bambini o ragazzini.
Esistono diversi tipi di violenza
La seconda cosa da sapere è che la violenza che la vittima subisce e che il bullo esercita può essere una violenza diretta, (sia fisica che verbale), ma può essere anche una violenza indiretta di tipo psicologico.
La violenza diretta è quella che viene riconosciuta per prima perché fa più rumore: insulti, calci, schiaffi, piccole sevizie, ma anche furti, sono atti che si notano maggiormente e per i quali è più facile che si attivino richieste di aiuto.
Spesso tuttavia la violenza che bambini o ragazzi subiscono è più subdola e consiste in atti di diffamazione, derisione o esclusione: in questi casi si assiste ad abusi psicologici che non sempre vengono intercettati ma i cui esiti possono essere molto gravi.
I maschi generalmente prediligono atti di violenza diretta mentre la violenza psicologica è molto più frequente tra le femmine.
Il bullismo è prevalentemente un fenomeno di gruppo
La terza cosa su cui vorrei ti soffermassi è il fatto che solo il 15% degli atti di bullismo avviene in forma individuale mentre l’85% delle violenze si consuma nel gruppo dei pari. Spesso infatti il bullo oltre ad aver bisogno di una vittima ha bisogno anche di un pubblico.
Nei gruppi non tutti giocano lo stesso ruolo: alcuni osservano senza intervenire, altri fanno il tifo per il bullo, alcuni lo aiutano, altri ancora sostengono la vittima; le dinamiche che si creano sono molto particolari ma spesso è proprio provando a cambiare queste dinamiche che si riescono ad aiutare bambini e ragazzi vittime di violenza.
Intervenire tempestivamente fa la differenza
Per aiutare però è indispensabile accorgersi che qualcosa non va e intervenire tempestivamente.
Come genitore è importante imparare a riconoscere alcuni segnali che possono essere rivelatori di disagio e possono farti capire che qualcosa non va.
Presta attenzione dunque se noti cambi repentini di comportamento, di umore, improvvisi silenzi, chiusura, oppure se tuo figlio senza giustificazioni apparenti ti chiede di cambiare sport, scuola o se si rifiuta di frequentare i luoghi abituali.
Soprattutto in caso di bambini e preadolescenti intervenire precocemente è di estrema importanza per evitare rischi a lungo termine. Se è vero infatti che molti bulli crescendo rischiano di assumere comportamenti devianti e antisociali, le vittime sono soggette a disturbi d’ansia, insicurezza, depressione fino ai casi più gravi dove possono arrivare al suicidio.
Nel caso in cui atti di bullismo vengano confermati è importante per prima cosa mettere il bambino o il ragazzo in sicurezza, poi lavorare sul contesto di riferimento (scuola, gruppi sportivi, gruppo dei pari) per cambiare le dinamiche e infine lavorare con la vittima per renderla più forte.
L’inclusione è un fattore di protezione
Contatti sociali e amicizie sono importanti fattori protettivi e sono ancore di salvezza anche per quei bambini e ragazzi che hanno difficoltà a chiedere aiuto.
Adoperati come genitore per far frequentare a tuo figlio ambienti supportivi e accoglienti e tu stesso poniti come esempio: evita la violenza verbale e pratica la gentilezza e la disponibilità verso il prossimo.
Per approfondire:
Menesini, E. (2017). Prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo. Il Mulino
Leggi tutto

Tuo figlio è introverso? Tre cose che devi assolutamente sapere
Introversione ed estroversione sono due caratteristiche psicologiche che denotano un modo diverso di percepire e vivere la realtà.
Estroversi ed introversi arricchiscono il mondo con il loro modo differente di affrontare la vita, di relazionarsi con gli altri, di pensare e di agire.
Ciò nonostante non sempre queste due inclinazioni sono sufficientemente comprese e non è infrequente, soprattutto quando si tratta dei bambini, attribuire ad alcuni comportamenti, soprattutto di matrice introversa, una valenza negativa.
Oggi pertanto voglio spiegarti tre cose sull’introversione che ti aiuteranno ad ampliare le tue conoscenze e ad avere qualche informazione in più per rispondere ai bisogni di tuo figlio. Ricordati ovviamente che le riflessioni che seguono hanno un carattere generale e che l’introversione, come molte altre caratteristiche, può esprimersi a diversi livelli di intensità e presentare un margine di grande variabilità nei comportamenti.
La prima cosa da sapere è che, dal punto di vista neurofisiologico, introversi ed estroversi funzionano diversamente.
Studi recenti sembrano suggerire che introversi ed estroversi consumino quantità differenti di energia in virtù di una diversa conformazione celebrale. In particolare la corteccia prefrontale degli introversi appare più vascolarizzata (il sangue segue percorsi più lunghi) e caratterizzata da una maggiore attività elettrica.
Proprio in virtù di questa “fiorente” attività elettrica interna che li caratterizza, gli introversi si irritano e soffrono in presenza di un eccesso di stimoli esterni, cosa che non succede agli estroversi per i quali invece stare troppo a lungo in ambienti silenziosi o privi di stimoli è una tortura che li fa diventare irrequieti e annoiati.
Nel suo libro “Introversi e Felici” Sylvia Lohken spiega bene questo concetto ricorrendo ad un’immagine: una persona estroversa è come una pala eolica, per funzionare ha bisogno di una forza esterna e di movimento continuo l; un introverso, al contrario, è più come una batteria, per ricaricarsi ha bisogno di stare fermo e possibilmente di non essere impegnato in altre attività.
Le differenze tuttavia non finiscono qui: introversi ed estroversi sembrano avere nel sistema nervoso concentrazioni diverse di specifici neurotrasmettitori, nei primi sembra prevalere l’ acetilcolina (responsabile della concentrazione, della memoria, dell’apprendimento), mentre nei secondi la dopamina (che regola il movimento, la curiosità, il controllo del piacere).
Queste differenze sembrano essere alla base di una maggiore predisposizione degli estroversi all’euforia, alla gioia, all’eccitazione, all’esuberanza e una preferenza, invece, degli introversi per l’ascolto, la riflessione e per un’espressione meno intensa delle proprie emozioni.
Queste differenze basate su dati biologici non vogliono certo significare che i comportamenti di estroversi e introversi siano rigidamente determinati ma semplicemente che, funzionare diversamente vuol dire anche avere esigenze e bisogni differenti.
I bambini introversi, infatti, hanno esigenze e bisogni che spesso non sono adeguatamente compresi. Vediamone alcuni.
Lo spazio, per esempio, è un aspetto a cui devi prestare attenzione.
I bambini introversi hanno un gran bisogno di aree esclusive, dove possono stare da soli e appartarsi, angoli dove ricaricarsi senza essere disturbati. Soprattutto se in casa ci sono altri fratellini e non è possibile per tuo figlio avere una stanza tutta per sé, ricavargli uno spazio anche piccolo ma tutto per lui è un’ottima idea.
Può capitare che tuo figlio ogni tanto tenda a rimanere in disparte anche mentre è in mezzo a tanta gente (a scuola, alle feste, in riunioni familiari), impara a considerare questo comportamento come un bisogno e, a meno che non lo porti ad isolarsi dagli altri e ad avere difficoltà di socializzazione, concediglielo.
Il bisogno di spazio è collegato anche alla distanza fisica; la vicinanza che un bambino introverso è disposto a tollerare potrebbe essere diversa da quella che immagini: non mostrarti dispiaciuto se dopo un po’ di coccole si ritrae o se si avvicina alle persone meno di degli altri bambini.
Tuo figlio inoltre potrebbe essere particolarmente insofferente alle urla e ai rumori forti: ricordatelo e assicurati che durante la giornata possa godere ogni tanto del silenzio.
Tieni conto anche che un bimbo introverso vive il tempo in modo diverso da un estroverso: per quest’ultimo generalmente le giornate sono contenitori da riempire di mille cose e se inserisci nella sua routine tante attività te ne sarà grato; se questa modalità viene applicata anche ad un bambino introverso le conseguenze potrebbero essere diverse: potresti stancarlo inutilmente e ridurre la sua capacità di imparare e godere delle cose. Per un introverso è importante che le attività più stimolanti e che comportano movimento o interazione siano seguite da momenti meno frenetici e più rilassati: se tuo figlio fa sport o esce per svolgere delle attività che prevedono la presenza di altre persone, assicurati che nel resto della giornata abbia tempo e spazio per recuperare, magari leggendo un libro, svolgendo in tranquillità i compiti a casa o passando del tempo con il suo amichetto preferito.
Un ultima riflessione riguarda il mondo delle relazioni: gli introversi prediligono rapporti a due o in piccoli gruppi nei quali si sentono a proprio agio e danno il meglio di loro stessi. Giochi e attività con cinque, sei amichetti potrebbero risultare per lui più attraenti di feste con venti o trenta bambini. Ovviamente non si tratta di una regola generale ma non ti servirà molto per capire quali sono le esigenze di tuo figlio per imparare a tenerne conto!
Se pensi che le cose che ti ho descritto fin qui siano delle limitazioni alla vita del tuo bambino è perché non ci si sofferma abbastanza sul fatto che molte caratteristiche degli introversi costituiscono dei punti di forza che, se riconosciuti e valorizzati, possono consentire di ottenere ottimi risultati nella vita e diventare la base per lo sviluppo di una solida autostima.
Gli introversi generalmente sono ottimi ascoltatori, ottimi osservatori, la loro prudenza li porta a elaborare in modo approfondito le informazioni e pur non parlando tanto, di solito forniscono sempre spunti interessanti e punti di vista di spessore.
Hanno di solito facilità di concentrazione e questo li porta a riuscire a dedicarsi con impegno agli obiettivi che si prefiggono.
Amano stare da soli e tendenzialmente sono autonomi ed indipendenti. Riescono meglio nelle comunicazioni scritte dove hanno tempo per riflettere e organizzare i loro pensieri.
In realtà potrei continuare elencandoti molte altre caratteristiche positive ma se hai un figlio introverso forse le conosci già.
Voglio lasciarti allora sottolineando che, quello che fa la differenza e permette ai bambini di fiorire, è assecondare, quando possibile, le loro esigenze e soprattutto riconoscere e valorizzare le loro diversità affinché sentano di potersi esprimere liberamente e sviluppino fiducia in se stessi.
Per approfondire
Lohken, S. (2019). Introversi e felici. Trovare nel silenzio la propria arma segreta. Giunti.
Cain, S. (2013) Quiet: il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare. Bompiani
Leggi tutto
Tuo figlio rispetta le regole? Alcune domande per capire se vai nella direzione giusta
Se hai difficoltà a far rispettare limiti e regole a tuo figlio devi sapere che non sei solo ma anzi il tuo è un problema comune a molti genitori.
Il senso di frustrazione che ne deriva spesso è molto alto, soprattutto quando tentativi fatti non sono riusciti a cambiare la situazione in meglio.
Sebbene per formulare delle ipotesi di intervento sia importante valutare ogni singolo caso con le sue specificità (contesto familiare, età del bambino, comportamenti problematici, tentativi messi in atto per risolvere il problema), oggi voglio indicarti alcune domande che possono aiutarti a ragionare e a verificare se la direzione che hai intrapreso è corretta o se puoi modificare qualcosa.
Come vedrai sono piccoli spunti su cui però ti consiglio di riflettere: come sostiene il filoso Guglielmo di Ockam, a volte la soluzione migliore è quella più semplice.
- Ho costruito una scala di priorità nel fissare regole e limiti?
Soprattutto se tuo figlio è restio a seguire le regole, è possibile che tu percepisca di vivere in una sorta di anarchia e stia cercando di regolamentare ogni aspetto della sua quotidianità. Se questo è quello che sta accadendo, sappi che difficilmente uscirai vincitore da questa battaglia.
Quanto più sei in difficoltà con i comportamenti di tuo figlio, tanto più dovresti concentrare le tue forze su due massimo tre regole che consideri importanti e che vuoi che tuo figlio rispetti. Se non sai da dove iniziare ti consiglio di prendere in considerazione tre ambiti : sonno, cibo e autonomie personali.
Dopo aver raggiunto risultati accettabili in questi ambiti puoi iniziare a mettere ordine nel resto.
- Ho spiegato ciò che mi aspetto in modo chiaro e sintetico?
Fissare una regola significa spiegare chiaramente a tuo figlio cosa ti aspetti che lui faccia o eviti di fare. Spesso serve davvero poco a chiarire il comportamento che ci attendiamo ma spesso aggiungiamo alla spiegazione ragioni, raccomandazioni, anticipazioni di scenari futuri, creando un surplus di informazioni che genera confusione nei bambini e mette in ombra il messaggio principale. Impara a essere sintetico, vedrai che questo ti renderà più incisivo
- Riesco a conciliare flessibilità e fermezza?
Quando si tratta di regole e limiti essere fermi e flessibili vuol dire mantenere comportamenti coerenti nel tempo, circoscrivere le eccezioni e non lasciarsi sopraffare dalla propria stanchezza o dalle richieste pressanti dei propri figli. Flessibilità e fermezza sono importanti perché ti conferiscono autorevolezza ma anche perché contribuiscono a costruire un’immagine di genitore solido e affidabile. Saper difendere un limite spesso vuol dire offrire un grande sostegno a un figlio e contribuire alla sua serenità e sicurezza.
- So utilizzare la comunicazione in modo competente?
La risposta alla domanda puoi dartela tu stesso, contando le volte in cui riesci a farti ascoltare da tuo figlio e quelle in cui ciò che dici sembra perdersi nel nulla…
Spesso un cattivo uso della comunicazione, soprattutto non verbale, ti porta a dover alzare spesso la voce, a urlare, a lamentarti o addirittura ad alzare le mani, lasciandoti frustrato e stanco.
Curare la tua comunicazione è fondamentale e, sebbene le cose da fare possano essere molte, ti consiglio di concentrarti soprattutto su due aspetti: utilizzare un buon contatto oculare e mantenere la calma.
Da oggi, comincia a monitorare i tuoi comportamenti e, quando ti rivolgi a tuo figlio, usa un tono fermo ma pacato, guardandolo negli occhi. Esercitati su questo punto e vedrai subito dei piccoli miglioramenti.
- Mi diverto con mio figlio?
Riuscire a ritagliarti degli spazi di divertimento con tuo figlio, da solo o con il tuo partner, è fondamentale, soprattutto se sei in un periodo in cui i comportamenti problematici rischiano di inquinare il clima familiare. In realtà più l’atmosfera è tesa più la tua famiglia ha bisogno di pause di rigenerazione e ricarica. Staccare la spina e divertirsi ci permette di guardare in modo diverso alle difficoltà, ridimensionandole o trovando nuovi modi per affrontarle.
- Coltivo uno spazio personale di gratificazione?
Avere qualcosa di cui essere soddisfatti ci consente di considerare le difficoltà familiari in modo più equilibrato. Può essere un hobby, il lavoro, uno sport, un’attività di volontariato… Avere uno spazio in cui ci sentiamo efficaci e realizzati contribuisce ad alimentare la nostra energia personale e, spesso, ridimensiona il peso e la preoccupazione con cui affrontiamo i problemi con nostro figlio.
Spero che queste domande ti siano state di aiuto e ti abbiano indotto a riflettere sulla tua situazione in modo costruttivo. Se pensi che questo articolo possa essere utile a qualcuno che conosci ti chiedo di condividerlo.
Se invece senti di aver bisogno di uno spazio di riflessione più strutturato per affrontare le difficoltà con tuo figlio, contattami e sarò felice di aiutarti.
PER APPROFONDIRE:
Hogg, T. (2017) Il linguaggio segreto dei bambini. Mondadori. Trento.
Leggi tutto

Stai crescendo tuo figlio nella bambagia? Devi conoscere la storia di Ben Underwood
Oggi voglio raccontarti una storia straordinaria, che mi ha fatto riflettere molto e che spero abbia lo stesso effetto su di te.
La storia parla di un bambino Ben Underwood, della sua coraggiosa mamma Aquanetta Gordon e delle infinite possibilità dell’essere umano.
Ben nasce in California nel 1992 e, alla tenera età di tre anni, gli viene diagnosticato un retinoblastoma. Il tumore costringe i medici ad asportargli entrambi i bulbi oculari e Ben diventa completamente cieco.
Sua madre, sebbene fosse devastata dal dolore, sin da subito dichiarò che Ben avrebbe avuto la sua infanzia felice e la sua disabilità non lo avrebbe menomato.
La donna mantiene la promessa e anziché, come ci si aspetterebbe, proteggere Ben e salvaguardarlo nei confronti dell’ambiente improvvisamente diventato oscuro e difficile da abitare, lo spinge ogni giorno a mettersi alla prova e a confrontarsi con la sua nuova realtà. Si racconta che osservasse da lontano suo figlio cadere e rialzarsi senza mai intervenire se non quando avvertiva un pericolo per la sua vita.
A quattro anni, dopo un anno di cecità e di lotta con il mondo, Ben inizia a fare una cosa che, agli occhi di tutti, appare misteriosa e bizzarra: schiocca la lingua contro il palato, producendo un’infinità di suoni.
Ben si avvicinava agli oggetti e schioccava la lingua più e più volte, tra lo stupore della gente.
Sua madre, come al solito, fu l’unica a comprendere, da subito, che il figlio aveva trovato il suo modo speciale per orientarsi nel mondo diventato invisibile.
Con questo stratagemma, inventato dal cervello, Ben riuscì a fare cose considerate impensabili per un bambino cieco: andava in bicicletta, giocava a basket, sfidava il fratello ai videogame, riuscendo dai suoni a comprendere i movimenti sullo schermo.
Come dichiarò la mamma, la parte più difficile per Ben non fu risolvere la sua cecità ma combattere con l’atteggiamento della gente: il preside che si rifiutava di farlo arrampicare sulle strutture del parco giochi, il consulente scolastico che si adirava perché Ben non voleva utilizzare il bastone e tutti quelli che si relazionavano con lui cercando di proteggerlo, perché vedevano solo la sua cecità.
Il cervello di Ben, tuttavia, lasciato libero di affrontare la nuova realtà aveva riorganizzato la sua percezione adattandosi in modo innovativo, alternativo e perfettamente funzionale alla perdita della vista.
Oggi sappiamo che lo stratagemma utilizzato dal cervello di Ben per “vedere” è qualcosa che esiste in natura da milioni di anni e che prende il nome di ecolocazione: è il meccanismo che utilizzano i delfini e i pipistrelli per orientarsi.
Con il suo schiocco di lingua il cervello di Ben riusciva a comportarsi come un sonar: interpretava i suoni che rimbalzavano sugli oggetti, riuscendo così a disegnare una sorta di mappa utile per muoversi e interagire nel mondo.
Non avendo più la vista, il cervello di Ben aveva riorganizzato il suo ambiente come un ambiente acustico, dando prova non solo della sua plasticità ma della sua attitudine ad adattarsi per risolvere il problema della sopravvivenza.
Ben morì a sedici anni per una recidiva del cancro, ma la sua vita era stata piena: la cecità aveva ridefinito la sua esistenza ma non l’aveva limitata.
Il cervello di Ben aveva compiuto questo miracolo grazie alle potenzialità insite nel suo funzionamento ma, soprattutto, grazie al fatto che qualcuno aveva permesso a queste potenzialità di sbocciare.
Probabilmente se il contesto di Ben fosse stato diverso, se sua madre lo avesse visto come un povero piccolo bimbo divenuto cieco e lo avesse trattato di conseguenza, la sua vita sarebbe stata diversa.
La storia di Ben ci insegna molto su quanto sia importante credere nelle capacità dei propri figli, sostenerle e incentivarle, con un supporto fatto di meno braccia tese ma di uno sguardo fiducioso e paziente.
Aquanetta Gordon, oltre ad essere una mamma coraggiosa, è stata una donna che ha saputo gestire la sua sofferenza e la sua paura (che immaginiamo saranno state grandi) e non ha permesso a queste emozioni di trasformarsi in una gabbia dorata per il figlio.
Dovremmo ricordarci più spesso di questa donna, ogni qualvolta ci spaventiamo per le prove che la vita ci mette di fronte e, soprattutto, quando cerchiamo di ridurre o eliminare ogni genere di difficoltà o complessità dalle vite dei bambini.
Come ci ricorda il neuroscienziato Beau Lotto, dal cui bellissimo libro sulla percezione è tratta la storia che ti ho raccontato, il cervello di fronte a contesti complessi risponderà adattandosi attraverso il rilascio di fattori di crescita, che porteranno allo sviluppo di nuove cellule nervose e di nuove connessioni; al contrario contesti monotoni, privi di “problemi da risolvere” favoriranno lo sviluppo di un cervello abulico.
“Se non la smettiamo di voler mitigare il rischio immediato a spese del rischio a lungo termine, produrremo generazioni adattivamente inadatte, perché se vieni cresciuto nella bambagia diventi bambagia, soffice, morbida e facile da bruciare”.
Sicuramente come genitore non ti viene richiesto il coraggio di Aquanetta Gordon e mi auguro che tu non debba mai vivere con tuo figlio situazioni così estreme, però la prossima volta che di fronte alle difficoltà o piccole sofferenze quotidiane del tuo bambino ti viene da pensare “poverino”, ricorda la storia di Ben Underwood e fidati delle capacità di tuo figlio e delle potenzialità del suo cervello.
Spero che questa storia ti sia piaciuta e se pensi che possa interessare a qualcuno che conosci ti chiedo di condividere l’articolo.
Segui la pagina per non perderti i prossimi appuntamenti.
Per approfondire
Lotto, B. (2017). Percezioni. Come il cervello costruisce il mondo. Torino. Bollati Boringhieri
Leggi tutto

Sai custodire la fantasia e la creatività del tuo bambino? Quattro indicazioni che possono aiutarti
I genitori di bambini in età prescolare spesso mi chiedono consigli su quali giochi e attività far fare ai bambini per stimolarli adeguatamente e sviluppare fantasia e creatività.
La preoccupazione è di non fornire sufficienti sollecitazioni ai propri figli o di impegnarli sempre nelle stesse attività, impedendogli così di sviluppare pienamente le loro potenzialità.
Quello che spiego in questi casi è che, soprattutto a questa età, la funzione dei genitori è soprattutto quella di preservare il modo non convenzionale e singolare con cui i bambini percepiscono la realtà e vivono ogni esperienza, perché questa modalità è implicitamente creativa e fantasiosa.
Quello che puoi fare per tuo figlio è da una parte, evitare una serie di comportamenti di censura, spesso dettati dal buon senso, che addomesticano precocemente la fantasia dall’altra, incentivare una dimensione ludica e a-logica che consente di mantenere viva la scintilla della creatività.
Di seguito voglio darti alcuni suggerimenti, come sempre molto pratici, che puoi applicare da subito, adattandoli ovviamente all’età di tuo figlio.
Gioca con ogni cosa
Non voglio convincerti a non spendere soldi nei numerosissimi giochi che oggi si trovano nei negozi specializzati e che promettono di sviluppare ogni sorta di abilità (alcuni sono davvero ben fatti, lo ammetto), ma desidero che tu sappia che giocare è una questione di atteggiamento non di oggetti.
Gioco viene dal latino iocus che significa scherzo, burla, per cui gli oggetti che utilizziamo sono degli espedienti per coltivare un habitus mentale, non sono i protagonisti assoluti del gioco.
In questo senso più un oggetto ha una finalità predefinita più saranno limitate e ripetitive le possibilità di utilizzo. Alternare pertanto giochi strutturati con oggetti della quotidianità o materiali grezzi (scatole, fili di lana, coperchi di pentole, vestiti) consente ai bambini di inventare modalità di relazione con gli oggetti inusuali e sempre diverse.
Quando giochi con tuo figlio anche parti del corpo possono diventare strumenti da impiegare in modo divertente: mani che si trasformano in animali, piedi che che si animano, voci che cambiano il loro tono abituale.
Prova a osservare: noterai che tuo figlio si attiverà in modo particolare se comincerai a giocare anche con oggetti che normalmente non fanno parte dei suoi balocchi.
Abbandona ogni tanto la struttura legata al compito, dai tempo e non soluzioni.
Molti giochi per bambini richiedono l’esecuzione di compiti strutturati (accorpare figure dello stesso colore, riconoscere forme, legare suoni a immagini), che hanno l’obiettivo di sostenere specifiche abilità. Va bene, sono utili. Spesso, tuttavia, i bambini s’immergono nel gioco in un modo che agli adulti appare privo di senso (osservano e manipolano per lungo tempo gli oggetti, compiono azioni ripetitive, ridono e si emozionano per il suono di un materiale).
In questi casi, evita di suggerire a tuo figlio come usare i suoi giochi ma lascialo immerso nel suo flusso per tutto il tempo di cui ha bisogno. La fretta è nemica della creatività. Se il gioco richiede la soluzione di un problema lascia a tuo figlio la calma per arrivarci: l’esplorazione spesso è più importante della mèta.
Capita che i bimbi un po’ più grandi utilizzino la fantasia per attribuire agli oggetti una realtà diversa da quella che hanno: asseconda questo gioco di finzione e prova anche tu a trovare analogie tra diversi oggetti.
Gioca con i cinque sensi ed esplora le meraviglie della natura
Per gli adulti essere in contatto con l’esperienza presente è un compito tra i più difficili.
I bambini, invece, sono più abituati a notare le cose e questa inclinazione va mantenuta e coltivata.
Giocare con i cinque sensi consente di esplorare la realtà prestando attenzione ad aspetti che altrimenti passerebbero inosservati.
I bambini come spiega la psicologa dello sviluppo Silvia Bonino, “fanno largo uso della sinestesia, cioè di fronte a uno stimolo sperimentano non solo la sensazione specifica tipica dello stimolo ma anche una seconda sensazione. Un bambino per esempio può dire: questo suono è viola, questa foglia odora di buio. Tali affermazioni spesso vengono censurate e sono spesso oggetto di disapprovazione da parte degli adulti.”
Giocare con i sensi vuol dire stimolare tuo figlio a evocare immagini, emozioni, sinestesie a partire dagli stimoli presenti nell’ambiente, senza censure basate sulla logica.
Un ottimo esercizio è passare del tempo nella natura e apprezzarne le meraviglie a partire da quello che vediamo, tocchiamo, udiamo. Profumi, suoni, colori stimolano i nostri sensi e attivano emozioni e sensazioni intense.
Lasciarsi andare a questo gioco ha indubbi vantaggi: sia perché la natura è di per sé creativa sia perché fornisce sollecitazioni multisensoriali.
Divertiti
Ho lasciato per ultimo un suggerimento che considero fondamentale. A volte ci preoccupiamo eccessivamente, soprattutto con i figli, di fare le cose giuste e questo ci impedisce di goderci pienamente il tempo passato insieme.
È utile ricordare che per i bambini, gli aspetti emotivi giocano un ruolo fondamentale nella percezione della realtà: la qualità dell’esperienza di un bambino è influenzata in grandissima parte dalle emozioni e dalle sensazioni che prova.
Puntare al divertimento è quasi sempre una buona scelta. Se ti diverti a giocare con tuo figlio con molta probabilità anche lui si divertirà e in questo modo passerai con lui del tempo di inestimabile valore.
Come fare? Sii creativo: ricorda che il cervello ama le novità, il ridicolo, le esagerazioni e poi… prova con il solletico! Sperimenta e trova il tuo modo unico per giocare con tuo figlio.
Spero che questo articolo ti sia stato utile e se pensi che possa essere di aiuto a qualcuno che conosci ti chiedo di condividerlo.
Per rimanere aggiornato sugli articoli che pubblico metti mi piace sulla pagina: ad agosto ci saranno interessanti novità.
Per divertirsi:
Arendt, H, Vignoli, V. (2014). I regali della natura. Creare e divertirsi con semi, fiori, foglie, legno e tanto altro ancora. Terre di mezzo editore.
Leggi tutto