
Fai il test sui limiti e le regole per scoprire come ti comporti con tuo figlio
Oggi voglio proporti di fare un’esercitazione della durata di pochi minuti che ti permetterà di riflettere su alcuni tuoi comportamenti in tema di regole e limiti.
Ti serve solo un foglio di carta e una penna.
Iniziamo: dividi il foglio in quattro parti come vedi nella figura sottostante
Ogni quadrante del foglio indica un ambito della vita in cui è possibile dare regole e limiti.
Il primo quadrante corrisponde al sonno. Quella del dormire è la prima area in cui si iniziano a dare routine e regole al proprio figlio dopo la nascita. Crescendo normalmente si danno indicazioni sull’ora in cui si va a dormire, si stabilisce se si dorme nella propria camera, da soli o in compagnia, etc.
Il secondo quadrante corrisponde al cibo e rappresenta anch’esso un ambito in cui si danno regole molto precocemente. All’inizio si tratta di routine per stabilire il tempo e la durata dei pasti, poi si passa a definire ciò che si può mangiare, fino ad arrivare ad inserire regole sul contesto del pasto (si sta seduti, non ci si alza, non si guarda la tv, etc).
Nel terzo quadrante, che chiamiamo gioco, rientrano tutte quelle regole che hanno l’obiettivo di regolare i rapporti di tuo figlio con il gruppo dei pari e con le figure adulte e che hanno a che fare con il gioco, lo sport, la socialità in generale. Per capirci tutte quelle indicazioni che denominiamo “buone maniere” vanno inserite qui. Potremo definire questo quadrante area delle relazioni.
Nell’ultimo quadrante, che chiamiamo studio, facciamo rientrare quelli che sono i doveri di tuo figlio legati alla scuola, ma non solo. Questo quadrante potrebbe più in generale essere denominato il quadrante dei doveri.
Ora prenditi qualche minuto per riflettere sulle regole e i limiti che hai dato a tuo figlio e scrivili sul foglio, inserendoli all’interno di questi quattro quadranti.
Inserisci anche le regole e i limiti che hai dato a tuo figlio ma che non sei riuscito a far rispettare; evita, invece, di scrivere le regole che avresti voluto dare o che pensi sia corretto dare che però non hai mai di fatto esplicitato.
Ora ti invito a farti qualche domanda.
Hai riempito in egual modo tutti e quattro i quadranti o ce ne sono alcuni più vuoti o più pieni? Quali sono?
Quale è il quadrante in cui ti risulta più faticoso dare regole e limiti? E quello in cui ti risulta più facile?
A quale quadrante appartengono le regole che tuo figlio segue con più facilità o difficoltà?
È il quadrante più pieno o più vuoto?
Questa analisi generalmente consente di evidenziare delle relazioni molto interessanti: a volte sono i quadranti più pieni a generare difficoltà, a volte sono i più vuoti; in alcuni casi è possibile rendersi conto che le difficoltà sono concentrate solo in alcuni quadranti.
Ora ti chiedo di spostare il focus da tuo figlio a te stesso.
Prendi un altro foglio, disegna nuovamente i quattro quadranti e questa volta pensa al tuo rapporto con i limiti e le regole.
Sonno, cibo, relazioni e doveri sono i quattro ambiti su cui ti invito a riflettere.
In quale quadrante sono contenute le regole e i limiti che fai più fatica a rispettare? C’è un quadrante in cui vorresti seguire delle regole ma non ci riesci? C’è invece uno o più ambiti in cui sei particolarmente disciplinato? Prenditi qualche minuto per pensarci.
Ora prova a vedere se c’è qualche relazione tra i tuoi quadranti e quelli di tuo figlio.
Alcuni genitori per esempio si rendono conto di essere più indulgenti in quegli ambiti nei quali loro stessi fanno fatica a rispettare le regole, altri invece si accorgono di aver sottostimato la fatica che il proprio figlio compie in alcune aree specifiche proprio in virtù di un’esperienza personale differente.
Ogni volta che ci si ferma a ragionare su queste relazioni si scoprono cose davvero interessanti.
Prima di lasciarti voglio darti un’ultima indicazione: sonno e cibo sono i primi ambiti in cui si dovrebbero dare regole e limiti ad un bambino ma spesso vengono sottovalutati. Un buon equilibrio psicofisico, anche da adulti, dipende proprio da quanto abbiamo coltivato abitudini sane in questi due quadranti.
Spero che questa esercitazione ti abbia fatto riflettere e se pensi possa essere utile a qualcuno che conosci ti chiedo di condividerla.
Se invece hai bisogno di una consulenza perché hai difficoltà a far rispettare limiti e regole a tuo figlio, contattami e sarò felice di aiutarti.
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Aiutare i genitori ad aiutare i figli: l’intervento strategico con bambini e preadolescenti
In questo articolo voglio riassumere in maniera sistematica le risposte a molte delle domande che i genitori mi fanno sull’approccio strategico e sulla sua efficacia nella risoluzione delle problematiche che riguardano i bambini e i preadolescenti.
Spero che queste informazioni possano esserti di aiuto soprattutto se stai valutando di farti aiutare perché hai delle difficoltà nel gestire tuo figlio o se ti stai chiedendo se è necessario portarlo da uno psicologo.
La prima cosa da sapere è che l’approccio strategico è una forma di intervento innovativo, breve (raramente supera le venti sedute) con un tasso di efficacia tra i più elevati nel panorama delle psicoterapie.
A differenza delle forme tradizionali di terapia, il lavoro non si concentra sul passato della persona e non si va alla ricerca delle cause del problema ma si sostituisce la domanda “perché c’è il problema?” con la domanda “come funziona il problema?”.
Questo perché secondo questo modello la soluzione del problema è logicamente connessa non con le cause che l’hanno originato ma con ciò che le persone cercano di fare, senza successo, per risolverlo. L’obiettivo dell’intervento pertanto è quello di capire ciò che tu o il sistema famiglia state facendo senza successo per risolvere le difficoltà nel presente, e sostituire questi tentativi con nuovi e più funzionali copioni comportamentali.
Semplificando molto è come dire che se chiedi aiuto perché la tua casa è in fiamme e non riesci a spegnere l’incendio non ci concentreremo sul capire come mai l’incendio è divampato ma lavoreremo per aiutarti a spegnerlo.
Questo approccio è molto efficace per le problematiche riguardanti la gestione dei figli e, in caso di bambini e preadolescenti, la modalità di intervento che si predilige è una modalità indiretta. Generalmente, infatti, bambini e ragazzini non vengono portati dallo psicologo ma si lavora con i genitori attribuendo loro un ruolo attivo nella risoluzione delle problematiche.
Se chiedi aiuto con questo approccio, pertanto, sarai guidato a essere tu in prima persona un efficace agente di cambiamento nella risoluzione del problema di tuo figlio in modo che tu possa mantenere la posizione fondamentale di guida e punto di riferimento.
Dal mio punto di vista questo è estremamente importante per due motivi: acquisisci competenze e capacità fondamentali per esercitare al meglio il ruolo di genitore e eviti quegli effetti negativi di etichettamento e “creazione del caso” che a volte si possono realizzare portando i bambini, anche molto piccoli, dallo psicologo.
Cosa mi faranno fare? Questa è un’altra delle domande frequenti che mi vengono rivolte.
Ciò su cui si lavora sono i modelli di comunicazione, relazione e azione che caratterizzano il tuo sistema familiare: sarai guidato a mettere in atto alcune strategie, a misurarne gli effetti e comprendere i meccanismi di funzionamento disfunzionale che vanno modificati. Gli incontri, inoltre, avvengono ogni due settimane e questo ti permette di avere tempo a sufficienza per mettere in pratica e verificare gli esiti delle strategie che ti vengono indicate.
Il punto di forza di questo modello, che è anche uno dei motivi per cui l’ho adottato nella mia pratica clinica, è l’economicità che lo caratterizza: è inutile smuovere montagne quando spostando un granello di sabbia si può ottenere lo stesso risultato. Si inizia quindi con piccoli passi e se necessario di volta in volta si corregge la strategia sulla base dei risultati osservati.
Spesso interventi minimali, come la semplice indicazione fornita ai genitori di “osservare senza intervenire” consentono di sbloccare situazioni che sembravano cristallizzate e immutabili.
Le difficoltà e i problemi che possono essere risolti con l’approccio strategico sono tanti. Di seguito ti indico quelli che incontro più frequentemente quando lavoro con i genitori
- problemi legati al sonno, cibo, controllo degli sfinteri (enuresi e encopresi)
- problemi legati al rispetto delle regole
- ansia da separazione
- fobie
- fobia scolare
- disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività (ADHD)
- disturbo oppositivo provocatorio
- problemi legati ai compiti
- mutismo selettivo
- ansia da prestazione
- disturbo da isolamento
Spero che i chiarimenti che ti ho fornito in questo articolo ti siano utili ma se hai dubbi o vuoi ulteriori informazioni ti invito a contattarmi.
PER APPROFONDIRE:
Bartoletti M. (2017), Cambiare per crescerli. L’intervento strategico con i bambini in età prescolare.
Nardone G., Equipe centro di terapia strategica (2012). Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Firenze, Ponte alle Grazie.
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La tua storia di figlio influenza il tuo modo di essere genitore? Tre cose da sapere
Non tutti i figli diventano genitori ma tutti i genitori sono stati figli. Questa, come molte altre verità che abbiamo sotto gli occhi, è una di quelle su cui non riflettiamo abbastanza.
Ogni figlio quando viene chiamato a essere genitore per via biologica o adottiva ha un proprio modello dell’esperienza genitoriale, che si basa su ciò che ha vissuto nella propria famiglia. Non è detto che si tratti di un modello considerato positivo o accettato ma, nel bene o nel male, è qualcosa che fa parte delle esperienze significative con cui è necessario confrontarsi.
Oggi il mio obiettivo è quello di farti riflettere sulla necessità di fare i conti con la tua storia di figlio per poter scegliere liberamente la storia che scriverai come genitore.
Per prima cosa è importante comprendere quanto il tuo modo di essere genitore è frutto di una scelta e quanto deriva invece da automatismi che hai appreso per imitazione o da condizionamenti più profondi legati alle esperienze che hai vissuto.
Come ogni essere umano anche tu apprendi e hai appreso molti comportamenti e modalità relazionali per imitazione.
Le ricerche suggeriscono che imitiamo di più le persone che ci sono vicine, le persone che percepiamo avere potere e le maggioranze a cui aspiriamo appartenere. Capirai bene quindi come i bambini siano particolarmente sensibili alle influenze dei genitori, che rappresentano persone a loro particolarmente vicine e dotate, ai loro occhi, di un grande potere.
Anche tu avrai imparato per imitazione molte cose, alcune utili e funzionali altre che forse lo sono meno.
Tra gli apprendimenti disfunzionali un posto particolare meritano alcuni automatismi non verbali e paraverbali come toni di voce, espressioni del viso, posture, gesti, che abbiamo appreso dalle figure genitoriali e che agiamo sotto la soglia della consapevolezza.
Può essere che la voce stridula di tua madre ti dia un fastidio fisico ma nonostante ciò anche tu ti ritrovi a fare la predica a tuo figlio utilizzando lo stesso tono; è possibile che la faccia severa con cui tuo padre ti guardava ti abbia fatto innervosire mille volte da adolescente ma ora utilizzi la stessa mimica facciale con il tuo bambino; potresti trovarti a dare a tuo figlio quei teneri scappellotti sul collo che tentavi sempre di evitare quando eri piccino. Riflettici un attimo: in questi casi hai automatizzato per imitazione una serie di comportamenti che agisci senza scegliere e che, probabilmente, non ti piacciono.
In questi casi familiarizza con la sensazione di disagio, irritazione, rabbia, o tristezza che questi comportamenti ti provocavano e usa queste sensazioni come motore per distanziartene. Più ricorderai l’emozione e il fastidio più è probabile che l’avversione provata ti aiuterà a disinnescare il comportamento appreso.
Devi sapere, tuttavia, che fare i conti con la propria storia non significa solo eliminare quei comportamenti appresi che non ci appartengono ma soprattutto riflettere sulla posizione che, come figli ,abbiamo rispetto al “lavoro” fatto dai nostri genitori. Questa è senza ombra di dubbio la seconda cosa che devi fare.
Prova a chiederti: cosa penso del modello educativo che ho ricevuto? Lo considero valido? Ho provato a riprodurlo con mio figlio o me ne sono voluto distanziare? Perché?
Rispondere a queste domande in modo autentico ti darà molti spunti su cui riflettere.
Il passo successivo può essere quello di concentrarti in modo più approfondito sui criteri e sui parametri che stai utilizzando per valutare l’educazione che hai ricevuto.
Su cosa baso il mio giudizio? Su quello che sono diventato? Sulle difficoltà che ho incontrato? Sui risultati che ho ottenuto? Su quanto i miei genitori mi hanno aiutato o ostacolato? Su come mi sono sentito?
Focalizzare ciò che per te è importante può farti capire cosa stai prediligendo nell’educazione di tuo figlio (risultati, supporto e sostegno, emozioni) ma soprattutto può aiutarti a comprendere se le scelte che fai oggi si basano sui bisogni e le caratteristiche di tuo figlio o se alcune di esse sono prese guardando al bambino che eri.
Qualche esempio ti illustrerà meglio cosa intendo. Quando scegli di essere permissivo con il tuo bimbo o il tuo ragazzo perché hai sofferto per una educazione fatta solo di regole e limiti, stai considerando ciò di cui ha bisogno tuo figlio o ciò di cui tu avresti avuto bisogno?
Quando sei inflessibile nell’imporre a tuo figlio regole ferree nello studio o nello sport perché ritieni che siano state queste regole che hanno fatto di te un bravo studente o un eccellente sportivo, sei sicuro che stai considerando le caratteristiche di tuo figlio e la sua indole o stai parlando ad un altro te stesso? Nello scegliere cosa è importante per tuo figlio stai considerando i suoi bisogni, il suo temperamento, le sue necessità o le tue?
Fare i conti con la tua storia significa fare pace con il bambino che sei stato e avere chiaro che tuo figlio, per quanto ti assomigli e per quanto tu lo senta simile a te, è un’altra persona. I punti che hai segnato o perso nella tua vita da figlio sono archiviati, la partita inizia daccapo ed è questo che ti rende davvero libero.
Libero di sperimentare, di essere flessibile, di scegliere per lui ciò che vedi funzionare e di abbandonare senza rimpianti ciò che non è efficace.
Ispirati pure a dei modelli che hai vissuto nel passato ma considera sempre le condizioni del presente.
Permettimi ora di lasciarti con un’ultima ma importante riflessione: qualunque sia il giudizio sui tuoi genitori, probabilmente hanno fatto il meglio che potevano seguendo quello che credevano giusto e forse imitando quello che i loro genitori hanno fatto loro. Perdonali, ringraziali e vai avanti.
Scrivi la tua storia avendo come obiettivo non di assomigliargli né di essere diverso ma semplicemente di “costruire” te stesso; solo così potrai diventare per tuo figlio proprio quel genitore di cui lui ha bisogno.
Spero che questo articolo ti sia stato utile e, se pensi possa essere di aiuto a qualcuno che conosci, ti chiedo di condividerlo.
Se invece vuoi un aiuto per sbloccare tentate soluzioni disfunzionali che pensi derivino dalla tua storia familiare, chiamami e sarò felice di aiutarti.
PER APPROFONDIRE
Mazzucchelli, L., (2019) Fattore1%, piccole abitudini per grandi risultati. Firenze. Giunti Editore
Hartzell, M; Siegel D.,( 2016) Errori da non ripetere. Milano. Raffaello Cortina Editore
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Hai difficoltà a far rispettare regole e limiti a tuo figlio? 10 semplici indicazioni da mettere subito in pratica
Dare regole e limiti è faticoso, soprattutto quando si tratta di gestire le conseguenze e fare i conti con le reazioni di rabbia, di frustrazione ma anche di chiusura o di offesa di bambini e ragazzi. Oggi però non voglio soffermarmi sulle ragioni delle difficoltà che incontri e sulla fatica che senti ma voglio darti alcune indicazioni che possono semplificarti la vita in questo compito.
Non è detto che tutto ciò che è scritto in questo articolo sia applicabile alla tua situazione ma sono certa che vi troverai qualche spunto utile da poter utilizzare.
- Scegli bene le battaglie da combattere
Il lavoro che ti aspetta richiederà tanta pazienza ed energia per cui sii realistico e concentrati su un numero limitato di regole e limiti, iniziando da quelle che ritieni fondamentali e in linea con i tuoi valori. Soprattutto se tuo figlio non ti segue, se ultimamente sembra essersi trasformato in un piccolo tiranno o se fino ad ora sei stato piuttosto permissivo, inizia con piccoli passi, altrimenti la frustrazione e le ribellioni saranno ingestibili e presto ti arrenderai.
- Condividi ma non cercare il consenso
Spiega chiaramente a tuo figlio cosa ti aspetti da lui ma non ingaggiare lunghe discussioni su quanto quello che fai è per il suo bene, su come gli sarà utile in futuro, sui vantaggi che trarrà nel seguire ciò che gli proponi, etc. Non sei un politico e non devi guadagnarti il consenso e preoccuparti della tua popolarità. I bambini e i ragazzi, differentemente da ciò che pensiamo, riescono quasi sempre a comprendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e, se sono molto piccoli e non lo capiscono, non capiranno nemmeno le nostre lunghe spiegazioni.
- Sii un modello
Tuo figlio non ti ascolta sempre ma sicuramente ti osserva sempre. Sarà molto bravo a cogliere le incoerenze tra ciò che gli raccomandi di fare e come ti comporti . Per cui se ci sono delle regole in casa che anche tu dovresti rispettare (non dire parolacce può essere un esempio) diventa per lui un esempio. Tuo figlio si modella sul tuo comportamento. Se sbagli, ammettilo e chiedi scusa. Lui imparerà a fare lo stesso.
- Coltiva aspettative realistiche
Dare regole e limiti serve a insegnare a tuo figlio che non è onnipotente, serve a fargli sperimentare la rabbia, la frustrazione, la tristezza e a fargli capire che sono sentimenti che può imparare a gestire. Dare regole e limiti non serve a plasmare bambini soldato che non fanno mai capricci o non si oppongono mai. Anzi se tuo figlio ti ubbidisce sempre senza se e senza ma, prova a chiederti perché non manifesta mai la sua frustrazione. Insomma, sii fermo sulle regole ma ricordati che tuo figlio è un bambino e non un angioletto.
- Limita le eccezioni e spiegale.
Dando regole e limiti a tuo figlio gli stai insegnando ad autoregolarsi, è importante pertanto, soprattutto all’inizio, limitare le eccezioni. Se ti stai chiedendo cosa vuol dire concretamente limitare le eccezioni e quante volte potrai cedere alle richieste, ti indico subito un parametro di riferimento. Diciamo che nell’arco temporale di un anno dovrai essere capace di ricordare chiaramente le volte in cui hai contravvenuto alle regole e i motivi per cui lo hai fatto, diversamente non stai facendo eccezioni ma fai rispettare le regole a singhiozzo! Ricordati poi, quando ti capita di dover fare un’eccezione, di spiegarne i motivi a tuo figlio: “oggi puoi rimanere alzato di più perché è capodanno, perché gli zii sono venuti a trovarti, perché c’è la festa del paese, etc”.
- Sii coerente nella comunicazione
Quello che devi imparare a trasmettere, oltre al contenuto della regola o del divieto, è l’importanza di ciò che stai comunicando. Ogni volta che dai un limite o una regola, tuo figlio deve percepire che si tratta di qualcosa di estremamente importante.
Come fare? Imparando ad utilizzare meglio il linguaggio non verbale: la mimica facciale, il tono della voce, le pause, lo sguardo. Urlare o perdere le staffe, per esempio, sono comportamenti che non ti rendono autorevole perché comunicano che hai perso il controllo, così come parlare a tuo figlio mentre sei in un’altra stanza o mentre fai qualcos’altro comunica che quello che stai dicendo non merita troppa attenzione.
- Riconosci le emozioni di tuo figlio ed evita di sminuirle
Qualunque sia la reazione di tuo figlio mentre gli stai insegnando regole e limiti ricorda di accettarla senza sminuirla. Questo non vuol dire accettare il suo comportamento o cedere alle sue richieste, ma sintonizzarti con il suo stato d’animo senza ridicolizzarlo o volerlo negare. “Calmati”, “smettila, non fare lo sciocco” “non essere esagerato” “che vuoi che sia” sono esempi di frasi che vanno in questo senso e che difficilmente indurranno tuo figlio a calmarsi o a uscire dall’emozione negativa, e probabilmente, gli comunicheranno indirettamente che ciò che prova in quel momento non è appropriato. Prova a sostituire queste frasi con espressioni diverse “capisco che sei arrabbiato, ma dobbiamo comunque iniziare a fare i compiti”; “so che sei triste perché devi lasciare il tuo amichetto ma ora dobbiamo andare a casa” “immagino che tu abbia paura ad andare sotto acqua, ma è normale quando si impara a nuotare”. Ricorda che stai insegnando a tuo figlio l’autocontrollo e questo vuol dire fargli capire che può provare qualsiasi emozione ma non può sempre fare come vuole.
- Non evidenziare le eccezioni positive, richiamando il negativo
“Oggi non hai preso nessuna nota, allora se vuoi sei bravo” “ma cosa ti è successo? Stasera hai mangiato tutto” “oggi hai fatto i compiti da solo, e come mai?”
Ogniqualvolta ti stupisci di fronte a un comportamento positivo di tuo figlio stai facendo due cose: gli stai comunicando che quel comportamento è per te un’eccezione e che da lui non te lo aspetti ma, soprattutto, lo stai obbligando a rimanere focalizzato sul suo comportamento negativo abituale. Ricordati che i bambini diventano ciò che ci aspettiamo da loro e pertanto ti consiglio di non sottovalutare gli effetti di questa forma negativa di comunicazione.
- Intervieni sempre come se fosse la prima volta che tuo figlio sbaglia
Quando riprendi tuo figlio comportati come se fosse la prima volta che trasgredisce la regola o il divieto che gli hai posto. Mostrati stupito. Sottolinea la gravità del fatto. Evita di agire e parlare come se dessi per scontato il suo comportamento. “Sei sempre il solito” “con te sempre la stessa storia” “sei il solito incorreggibile” sono frasi che contribuiscono lentamente e progressivamente a cronicizzare la situazione. Immagina di riprendere il figlio ubbidiente dei tuoi amici o (se non conosci figli ubbidienti) il figlio ideale che hai in mente. Come riprenderesti un bambino che è per la maggior parte del tempo ubbidiente? “Sono molto stupito di quello che hai fatto, fai in modo che non si ripeta più”, “ah oggi non hai fatto i compiti, come mai, cosa è successo?” Adatta pure le formule alla tua situazione con la consapevolezza che il linguaggio che utilizzi contribuisce in modo potente a influenzare la realtà.
- Loda il comportamento appropriato e crea una cornice positiva
Rinforza tuo figlio con incoraggiamenti positivi quando si comporta bene. Per farlo sii preciso e conciso: “bravo” “ben fatto” “ottimo”. I bambini sono sensibili alle lodi dei genitori, soprattutto quando sono meritate e ben dosate.
Ritagliati ogni tanto dei momenti per immaginare con tuo figlio il futuro positivo che l’aspetta quando sarà riuscito a migliorare i suoi comportamenti. “Immagina come sarai soddisfatto e felice quando riuscirai a nuotare bene” “oggi sei stato davvero bravo, le cose in futuro andranno sempre meglio e trascorreremo sempre più giornate felici come questa”.
Guarda con fiducia al futuro e a tuo figlio e anche lui imparerà a fare lo stesso.
Spero che questo articolo ti sia stato utile e se pensi che possa interessare a qualcuno che conosci ti chiedo di condividerlo.
Se invece hai bisogno di un aiuto per gestire meglio regole e limiti con tuo figlio contattami e sarò felice di aiutarti.
PER APPROFONDIRE
Scarlaccini, F., Cannistrà, F. (2017), Aiutami a diventare grande. Roma, EPC editore.
Siegel, J.D., Bryson, T. P (2015) La sfida della disciplina. Milano. Raffaello Cortina Editore
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Vuoi essere una base sicura per tuo figlio? Tre cose da sapere
Il concetto di base sicura è stato elaborato alla fine degli anni 60 dal famoso psicoanalista John Bowlby. Da allora questo termine viene utilizzato per descrivere la sensazione di sicurezza che è indispensabile far sperimentare a un bambino nei suoi primi anni di vita per garantirgli un buon sviluppo emotivo e relazionale.
Più in generale essere una base sicura significa rappresentare per tuo figlio un punto di riferimento, un porto da cui può partire per esplorare il modo e a cui può tornare nei momenti di difficoltà e di bisogno.
Ma come è possibile svolgere questo ruolo?
Sebbene siano molte le qualità che servono ad un genitore, ci sono tre aspetti che riguardano in particolare le emozioni e che è necessario conoscere se vuoi essere contemporaneamente guida e sostegno per tuo figlio.
La prima abilità che devi sviluppare si chiama sintonizzazione ed è la capacità di intuire i bisogni e le necessità emotive di tuo figlio: in parole semplici collocarti sulla sua lunghezza d’onda.
Non c’è modo infatti di essere di supporto e guida per una persona se non si riesce a comprenderne il suo stato d’animo. Imparare a riconoscere le emozioni di tuo figlio è dunque il primo passo per poter essere un punto di appoggio, soprattutto nei momenti di difficoltà.
Se riconoscere le emozioni è piuttosto facile quando queste si manifestano con un livello di intensità significativo quando invece la loro espressione è più velata, identificarle può essere più complesso.
Le emozioni di base (rabbia, tristezza, paura, piacere, sorpresa e disgusto) rappresentano per noi esseri umani un linguaggio universale, siamo stati programmati per riconoscerle negli altri anche se non sempre esercitiamo adeguatamente questa attitudine.
Il primo passo per migliorare nella capacità di intercettare e gestire le emozioni di tuo figlio è diventare più bravo a identificare le tue, soprattutto quelle che tendi a inibire o che sperimenti meno.
Può essere per esempio che, se sei spaventato dalla rabbia o tendi a reprimerla, tu abbia difficoltà a riconoscere, accettare e gestire quella di tuo figlio; così come se sei abituato a negare il dolore, è probabile che per te non sia facile identificare la tristezza di tuo figlio e sintonizzarti con essa.
Comincia a farti qualche domanda: tra le sei emozioni di base ce ne sono alcune che sperimento più spesso e altre che invece mi sembra di non provare mai o molto raramente?
C’è qualche legame tra le emozioni che provo di più e quelle che ho più facilità a riconoscere in mio figlio?
Riesco a offrire sostegno e a relazionarmi efficacemente con mio figlio quando prova emozioni che io sperimento di meno o che non mi do il permesso di provare? Rispondere a queste domande può essere un utile esercizio da cui partire per esplorare il tuo mondo emozionale e iniziare a prendere consapevolezza di come funzioni.
Sempre parlando di emozioni, c’è un secondo aspetto che non puoi trascurare: la capacità di riconoscere e gestire le emozioni di tuo figlio passa per una migliore conoscenza e un migliore utilizzo del linguaggio non verbale.
Con questo termine intendo tutto ciò che il corpo (il volto, la postura, i movimenti, etc). comunica senza l’aiuto della parola.
Osservare il volto di tuo figlio, i suoi gesti, la sua mimica facciale, la sua postura possono farti avere molte informazioni preziose sul suo stato emotivo. A volte il corpo dice per primo le cose a cui la mente arriva dopo. In alcuni casi il linguaggio del corpo può essere addirittura più rivelatore di quello verbale.
Allo stesso modo uno sguardo, una carezza, un sorriso sono gesti che più di spiegazioni e parole riescono per esempio a calmare, rassicurare, far percepire ai bambini (ma in verità anche agli adulti) che sono compresi e amati.
Anche quando si tratta di gestire le emozioni di tuo figlio, pertanto, il linguaggio non verbale può esserti utilissimo.
Comincia anche qui a farti qualche domanda: utilizzo il linguaggio non verbale per relazionarmi con mio figlio? Utilizzo il volto e la sua mimica per comunicare con lui?
Riesco a leggere gli stati d’animo di mio figlio sul suo volto? Ci riesco sempre o solo quando sono evidenti?
Ricordati che il corpo è una corsia preferenziale per arrivare alle emozioni di cui troppo spesso ci dimentichiamo
La prossima volta durante le crisi di collera, i momenti di tristezza o di paura di tuo figlio prova a sostituire le spiegazioni razionali, le prediche, le rassicurazioni dettagliate, con un abbraccio, uno sguardo amorevole o un sorriso: potresti rimanere sorpreso dagli effetti che otterrai!
Pensa che le neuroscienze hanno dimostrato che anche il movimento fisico (una corsa, giocare alla lotta, o semplicemente tirarsi una palla mentre si parla) è in grado facilitare la modulazione delle emozioni. La prossima volta che tuo figlio è arrabbiato prova a farlo muovere, potresti notare anche in questo caso risultati inaspettati.
E veniamo all’ultima cosa che non puoi ignorare se vuoi essere per tuo figlio una base sicura: sintonizzarti con tuo figlio e le sue emozioni presuppone la capacità di comprendere quello che tuo figlio prova senza però lasciarti contagiare emotivamente.
A differenza di quello che il senso comune suggerisce, infatti, immedesimarsi nelle emozioni dell’altro fino a provarle con la stessa intensità raramente ci consente di essere di aiuto.
Essere sulla stessa lunghezza d’onda di tuo figlio significa proprio questo: intercettare l’emozione che sta vivendo, aiutarlo a esprimerla se tende a inibirla o a farla decantare se troppo intensa, riuscendo però a non esserne sopraffatti.
Anche in questo caso puoi farti delle domande: quando mio figlio sperimenta in modo intenso alcune emozioni come la rabbia, la paura o la tristezza rimango calmo o tendo ad entrare in ansia?
Mi capita di provare paura di fronte all’espressione intensa di alcune emozioni da parte di mio figlio?
Il mio senso di efficacia nel gestire le situazioni diminuisce quando devo fare i conti con alcune emozioni manifestate da mio figlio?
Ricordati che il tuo modo di reagire è un potente regolatore emotivo per tuo figlio, in positivo e in negativo.
La prossima che ti trovi in difficoltà nel gestire le emozioni di tuo figlio presta attenzione all’ emozione che stai provando, potresti rimanere sorpreso nel verificare che si tratta dell’emozione più sperimentata da tuo figlio o magari di quella che non riesce ad esprimere.
Sulle emozioni ci sarebbero da dire ancora tante cose e ti prometto che scriverò ancora su questo tema.
Per adesso ti chiedo di condividere questo articolo se pensi che possa essere interessante per qualcuno che conosci.
Se senti, invece, di voler lavorare sulle tue emozioni per diventare più bravo a intercettare e gestire quelle di tuo figlio, chiamami e lavoreremo insieme.
Per approfondire:
Siegel, J.D., Bryson, T. P. (2012), 12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino. Milano. Raffaello Cortina Editore.
Ekman, P. (2003), Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste. Torino. Edizioni Amrita.
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Tre motivi per cui dovresti dare regole e limiti a tuo figlio
Se segui i miei articoli ti sarà già capitato di leggere che dare regole e limiti chiari ai propri figli è uno degli ingredienti per un buon sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale.
Oggi voglio spiegarti perché le regole e limiti sono così importanti indicandoti tre ragioni per cui è giusto inserirli nell’educazione dei bambini.
La prima cosa che devi sapere è che inserire delle regole e dei limiti nella vita di tuo figlio significa riprodurre per lui, seppur in piccolo, il mondo in cui si troverà a vivere.
La vita, infatti, è piena di regole e limiti con cui tuo figlio dovrà confrontarsi e quello che tu puoi fare è insegnargli sin da piccolo a prendere progressivamente consapevolezza di questa realtà. In questo senso sei come un allenatore: il tuo compito è quello di sviluppare le sue risorse e prepararlo al meglio per quello che troverà là fuori.
Appena nati i bambini vengono accuditi, nutriti, curati, si sentono onnipotenti perchè ogni loro bisogno viene soddisfatto e ogni richiesta esaudita. Questo è funzionale allo sviluppo del bambino per un certo periodo di tempo ma superato l’anno di età come genitore dovrai lentamente e gradualmente inserire dei limiti protettivi e delle regole per consentire a tuo figlio di esplorare il mondo in sicurezza.
Introdurre per tuo figlio sin da piccolo delle routine stabili e prevedibili è importante anche per il suo sviluppo cognitivo; grazie alle routine per esempio tuo figlio costruirà nella sua mente i concetti di “prima” e “dopo” (es: prima si mangia, poi si fa il bagnetto e poi si va a dormire) di “tanto” e “poco” (si possono mangiare pochi dolci ma tanta verdura) e piano piano grazie a questi imparerà il concetto del tempo che, come sai, alla nascita è assente.
Le regole che progressivamente inserirai nel suo mondo insegneranno a tuo figlio una grande verità e cioè che non siamo onnipotenti e non possiamo fare e avere tutto ciò che desideriamo; questa lezione sarà una delle più importanti per il suo equilibrio emotivo.
Il secondo buon motivo per dare regole e limiti a tuo figlio riguarda proprio la sua stabilità emotiva e la sua capacità di autocontrollo.
Le regole e i limiti proprio perché scalfiscono la nostra onnipotenza, generano frustrazione e ci obbligano spesso a ritardare la gratificazione dei nostri bisogni o a modificare i nostri bisogni originari in qualcosa di diverso.
Quando porti via tuo figlio dai giardinetti perché è ora di fare i compiti o quando gli dici che non può usare il pennarello colorato per dipingere il muro di casa o che deve aspettare la cena per mangiare il suo dolce preferito, lui proverà frustrazione, rabbia e tristezza.
Con il tempo però e con il tuo aiuto sperimenterà anche che la frustrazione è qualcosa di sopportabile e a cui si sopravvive. Comincerà progressivamente a sviluppare delle strategie per reagire a queste situazioni e imparerà di conseguenza a modulare le emozioni negative sviluppando l’autocontrollo.
All’inizio sarai tu come genitore a indicare le regole a tuo figlio, a ricordargliele ogni qualvolta proverà a trasgredirle, aiutandolo così a rimanere nei limiti e a gestire comportamenti inappropriati, ma crescendo questo processo diventerà automatico.
Ricordati che la funzione di autoregolazione delle emozioni svolta dai limiti e dalle regole è molto importante e numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’assenza di questi ultimi produce bambini stressati e in balia dei propri stati d’animo.
E veniamo ora al terzo motivo che dovrebbe convincerti a inserire regole e limiti nella vita di tuo figlio.
Come ti ho già detto le regole ci insegnano a posticipare la gratificazione dei bisogni e questo ha un valore enorme, soprattutto per lo sviluppo dell’area prefrontale del cervello che presiede a una serie di funzioni importanti.
Voglio spiegarti questo concetto attraverso un famoso esperimento, condotto verso la fine degli anni sessanta dallo psicologo Walter Mischel su un gruppo di bambini di età prescolare. L’esperimento è diventato famoso sotto il nome di «marshmallow test».
Ogni bambino veniva fatto entrare da solo in una stanza arredata con un tavolo e una sedia. Sul tavolo c’era un vassoio contenente il dolcetto più popolare presso la gioventù statunitense, il marshmallow appunto.
Mischel poneva una scelta al bambino: o mangiare subito il dolcetto, oppure aspettare il tempo che lo sperimentatore si allontanava per una telefonata per averne due al suo ritorno. Il ricercatore si assentava quindici minuti esatti. Ovviamente, quella che sembrava un’uscita occasionale era minuziosamente organizzata. Telecamere e finti specchi consentivano di controllare tutte le mosse dei piccoli nella stanza. Alcuni bambini addentavano subito il dolce. Altri resistevano alcuni minuti. Solo il trenta per cento resisteva per quindici minuti.
Mischel e i suoi collaboratori seguirono i soggetti dell’esperimento fino all’età di trent’anni, analizzandone i risultati scolastici e lavorativi. I dati raccolti dimostrarono in modo schiacciante che a una minore resistenza alle tentazioni corrispondevano risultati scolastici e professionali più bassi.
Coloro che, invece, erano riusciti a tollerare l’attesa, a rimandare più a lungo la gratificazione, a sopportare il disagio avevano fatto più strada ed erano diventati adulti più adattati nel lavoro e nelle relazioni sociali.
Mischel spiegò questi dati sostenendo che i bambini che riuscivano ad attendere avevano un miglior controllo della loro attenzione, poiché riuscivano a direzionarla su oggetti diversi dal dolcetto.
Gli studi di Mischel sono stati approfonditi negli anni seguenti e confermati dalle neuroscienze che hanno dimostrato che l’area del cervello responsabile della capacità di sopportare il disagio e posticipare la gratificazione è la stessa area che presiede l’attenzione, l’autocontrollo e la motivazione.
In parole povere, per sviluppare la capacità di attenzione serve allenare la capacità di differire la gratificazione e sopportare i disagi e, allo stesso modo, per allenare la motivazione possiamo allenare l’autocontrollo e l’attenzione; sono tutti circuiti celebrali collegati per cui potenziandone uno si potenziano anche gli altri.
Ti faccio ora una domanda: sarà forse un caso che oggi, epoca del “tutto e subito”, in cui i bambini hanno difficoltà a sopportare le frustrazioni, le capacità di attenzione e concentrazione sono ai minimi storici? Come genitore dovresti interrogarti anche su questo.
Ricordati dunque che inserendo pochi ma chiari limiti per tuo figlio stai allenando indirettamente anche la sua capacità di concentrazione e la sua motivazione.
È ovvio che le regole e i limiti devono essere appropriati all’età e non eccessivi nel numero (non devi riempire certo la vita di tuo figlio di divieti e imposizioni inutili), ma di questo magari parleremo in un altro articolo.
Ti lascio con un’ultima riflessione: solo se i bambini hanno dei limiti possono adoperarsi per superarli, solo se hanno un divieto possono infrangerlo e questo processo è fondamentale per la loro crescita e differenziazione dagli adulti e per la creazione della loro identità.
Mi auguro che questo articolo ti sia stato utile e se pensi possa interessare a qualcuno che conosci ti chiedo di condividerlo.
Se invece hai bisogno di una consulenza perché trovi difficile gestire le regole e limiti con tuo figlio, chiamami e lavoreremo insieme su questo.
PER APPROFONDIRE
Bartoletti M. (2017), Cambiare per crescerli. L’intervento strategico con i bambini in età prescolare.
Phillips A. (1999), I no che aiutano a crescere. Milano, Feltrinelli.
Ukmar G. (1997) Se mi vuoi bene, dimmi di no. Milano, Franco Angeli
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Avere alte aspettative sui figli è giusto o sbagliato? Tre cose da sapere
Da sempre per un genitore i figli sono la cosa più preziosa e, paradossalmente, in un periodo in cui in molti paesi la natalità diminuisce e l’età media in cui si diventa genitori tende a salire, cresce l’investimento emotivo e spesso anche economico che le coppie fanno sui figli.
Se da una parte è legittimo che ogni genitore speri che il proprio figlio possa essere il meglio e avere il meglio dall’altra è importante comprendere qual è il ruolo delle aspettative genitoriali sulla crescita e lo sviluppo dei propri figli.
Una ricerca americana molto famosa, condotta seguendo i bambini dall’età prescolare fino all’inizio dell’età adulta, ha identificato tre fattori che dovrebbero essere sempre presenti nelle cure genitoriali per garantire il miglior sviluppo emotivo, cognitivo e sociale dei figli. Questi tre fattori sono: affetto e sostegno, regole e limiti chiari, aspettative elevate.
Avere aspettative elevate nei confronti dei propri figli sembra dunque essere un ingrediente di vitale importanza per favorirne una crescita felice e ben adattata.
Permettimi però di chiarirti il significato di aspettative elevate perché spesso attorno a questo concetto si fa un po’ di confusione.
La prima cosa che devi sapere è che aspettarsi o peggio ancora pretendere traguardi di rilievo per il proprio figlio in ogni ambito della vita (sport, amici, scuola, musica) non è il modo corretto di intendere il concetto di aspettative elevate.
Adoperarti in ogni modo affinchè tuo figlio sia tra i più bravi a scuola, tra i migliori nello sport, il più popolare tra i suoi amici, non è esattamente quello che si intende per nutrire aspettative elevate e può essere che più ti sforzi in questo senso più i risultati che otterrai andranno nella direzione opposta.
L’aspettativa elevata che come genitore devi coltivare per tuo figlio non riguarda tanto il risultato da ottenere quanto piuttosto il processo per arrivare a quel risultato.
Mi spiego meglio: avere aspettative elevate significa essere fiducioso che tuo figlio abbia le capacità e le risorse per affrontare la strada che lo separa dal raggiungere i suoi traguardi, di qualunque tipo essi siano.
Questo vuol dire imparare a non intervenire per ogni difficoltà che incontra, non eliminare le piccole sofferenze dalla sua strada, non sollevarlo dalla fatica che ogni processo di apprendimento comporta. E soprattutto non spaventarsi di fronte alle battute di arresto o ai piccoli fallimenti che sperimenta.
Avere il proprio focus solo sul risultato invece spesso può sviarci dal processo: mandare a ripetizione tuo figlio perché ha preso due insufficienze, organizzargli sessioni di recupero perché ha qualche difficoltà nell’imparare una lingua straniera, parlare con l’istruttore di calcio perché non lo lasci in panchina e lo faccia giocare, sono dei tentativi di aiutare che spesso danneggiano perché comunicano indirettamente un messaggio: io mi aspetto che tu non ce la possa fare da solo.
E spesso più abbiamo alte aspettative sui risultati più interveniamo continuamente per aiutare nostro figlio a raggiungerli non sapendo che così facendo impediamo lo sviluppo delle sue capacità.
Per cui la seconda cosa che devi assolutamente sapere è che le aspettative sulle capacità di tuo figlio possono condizionare significativamente i risultati che riuscirà ad ottenere.
A tal proposito voglio raccontarti una storia.
Nel 1968 lo psicologo tedesco Robert Rosenthal fece un esperimento in una scuola Californiana.
Rosenthal sottopose i bambini di alcune classi elementari ad un test di intelligenza.
Andò poi dalle insegnanti e gli consegnò una lista di nomi facendogli credere che si trattava dei bambini risultati più intelligenti ai test.
Rosenthal in realtà estrasse quei nomi casualmente.
Alla fine dell’anno tornò a scuola e con dei test verificò il rendimento scolastico di tutte le classi.
I risultati lo lasciarono sbalordito: si rese conto che quei bambini estratti a caso avevano ottenuto i punteggi più alti nel rendimento di tutte le materie.
Che cosa era successo? Un’aspettativa era diventata realtà!
Le maestre avevano realizzato quello che si aspettavano. Trattando e relazionandosi con i bambini che credevano essere i più bravi come se fossero i più bravi, li avevano portati a diventarlo.
Da quel momento Rosenthal è diventato famoso per l’effetto aspettativa che, ad oggi , rappresenta una delle più importanti scoperte della psicologia
Questo effetto funziona ovviamente anche al contrario. Se ti aspetti che tuo figlio non sia forte, bravo o capace abbastanza , non lo diventerà.
Per cui ricordati che se per far raggiungere dei traguardi a tuo figlio ti senti sempre in dovere di proteggerlo, di sostituirti a lui, di aiutarlo, crescerai un bambino che avrà sempre bisogno di protezione, di qualcuno che lo aiuti e che faccia al suo posto. In questo modo, anche se forse non lo sai , stai coltivando basse aspettative nei suoi confronti.
Se per poca fiducia nelle sue capacità farai troppo per lui, lui non farà abbastanza per sé stesso.
E veniamo all’ultimo punto importante che può aiutarti ad avere aspettative elevate nei confronti di tuo figlio: impara a sostituire la mentalità da centometrista con quella da maratoneta.
Si hai capito bene, scordati sforzi intensi e risultati immediati e preparati ad un lavoro lungo dove la pazienza e la resistenza saranno le tue alleate più preziose.
Sostieni tuo figlio lodando il suo impegno più che la sua bravura e attendi paziente che i suoi sforzi diano frutto. Ogni bambino ha i suoi tempi, rispetta i tempi di tuo figlio.
Insegna a tuo figlio la perseveranza, non mostrarti impaziente e resisti alla tentazione di intervenire non appena noti un po’ di sofferenza nel suo cammino. La tua costanza lo aiuterà a sviluppare la pazienza.
Non mostrarti preoccupato di fronte alle sue difficoltà anzi fai vedere che credi nelle sue capacità. La tua fiducia in lui diventerà la sua fiducia in sé stesso.
E ricorda che le persone che hanno fiducia in sé stesse riescono a raggiungere i traguardi che si prefiggono e a superare con più facilità le difficoltà inevitabili della vita.
Spero che questo articolo ti sia piaciuto e, se pensi che possa interessare a qualcuno che conosci, ti chiedo di condividerlo.
Se, invece, senti di aver bisogno di lavorare sulle tue aspettative genitoriali o vuoi semplicemente un aiuto per stabilire una relazione più efficace con tuo figlio contattami e sarò felice di aiutarti.
PER APPROFONDIRE:
Luzzi, F. 2018, La mente strategica. Imprimatur, Torino
Rosenthal, R., Jacobson, L., 1992. Pygmalion in the classroom. Irvington, New York
Steinberg, L., Mounts, N.S., (et altri), 1991, Authoritative Parenting and Adolescent Adjustement Across Varied Ecological Niches. Journal of Research on Adolescence. 1. p.19-36.
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Genitori si nasce o si diventa?
Prima di rispondere a questa domanda prenditi qualche minuto di tempo per leggere le riflessioni che seguono.
Una delle caratteristiche che ci contraddistingue come esseri umani è la nostra capacità di prenderci cura della prole. Tra gli esseri viventi siamo quelli che accudiscono per il maggior numero di anni i loro piccoli fornendogli un grandissimo vantaggio evolutivo.
Gli uomini, infatti, sono gli esseri viventi con la maggiore variabilità in termini di abilità, capacità, attitudini e questo è frutto anche del tempo e delle attenzioni forniti dalle cure parentali.
Solo l’uomo, peraltro, ha strutturato nel tempo accanto alla coppia genitoriale altre figure di accudimento stabili come i nonni.
Insomma accudire, allevare e crescere figli è una specialità della specie umana.
Allo stesso tempo negli ultimi trent’anni fare i genitori sta diventando un compito sempre più impegnativo non solo fisicamente ma anche emotivamente. Padri e madri sperimentano molto frequentemente un senso di inefficacia e a volte di impotenza nell’affrontare le problematiche che riguardano la crescita dei figli.
Aumentano i corsi di parent training e le richieste di consulenza.
Gli specialisti (pediatri, neuropsichiatri, psicologi dell’età evolutiva) vengono consultati sempre più spesso per ottenere rassicurazioni o indicazioni di comportamento e sempre meno per problematiche specifiche.
Torno a chiederti allora, genitori si nasce o si diventa?
Secondo la psicologa Alison Gopnick essere genitori è una cosa naturale: si impara e si migliora con la pratica.
Le difficoltà in cui spesso padri e madri si trovano derivano dall’esserci dimenticati di questa verità millenaria e dall’aver trasformato una pratica basata sull’esperienza in una basata sulla competenza.
Abbiamo applicato le regole del lavoro, dice la Gopnik, alla crescita dei figli, trasformando una funzione naturale come quella genitoriale in un mestiere.
Se fare i genitori è un mestiere allora i figli sono la nostra prestazione e il modo in cui crescono, i traguardi che raggiungono, quello che imparano non sono tanto aspetti legati al loro benessere ma piuttosto diventano la misura del nostro valore.
Si spiegherebbe così, secondo la psicologa americana, la continua ricerca da parte dei genitori di indicazioni e formule per fare la cosa giusta e la conseguente ansia e preoccupazione di fallire e di sbagliare con i propri figli.
L’unica vera regola per il successo evolutivo, secondo la Gopnick, consiste nel garantire sostegno e affetto e promuovere in ogni figlio il naturale istinto di curiosità e di esplorazione in modo che ciascuno possa sviluppare le proprie potenzialità e la propria individualità.
Secondo questo punto di vista genitori si nasce e focalizzarti troppo sulla ricerca di un metodo educativo di successo potrebbe distoglierti dal tuo compito principale che è quello di sostenere, amare e favorire lo sviluppo di tuo figlio, comportamenti questi inscritti nel tuo DNA che da soli hanno garantito e garantiscono la prosecuzione della specie.
Permettimi però a questo punto di farti un’altra domanda: siamo capaci di utilizzare tutte le competenze e capacità per cui siamo stati “programmati” da madre natura?
Come essere umani per esempio siamo “programmati” per sopportare il disagio e la fatica, per differire le gratificazioni e mantenere l’attenzione per lunghi periodi. Queste capacità inscritte nel nostro DNA ci hanno consentito milioni di anni fa di non estinguerci, di sviluppare l’area frontale del cervello e di affermarci sulla terra come la forma di vita più intelligente finora conosciuta.
Oggi, tuttavia, abbiamo livelli di attenzione bassissimi, il disagio è qualcosa che abbiamo cercato in tutti i modi di evitare e ricerchiamo continuamente gratificazioni a breve termine.
Ti parlo di queste competenze di base perché sono legate più di quanto pensi alla capacità di fornire sostegno e supporto ai tuoi figli.
Prova a chiederti:
Sono capace di tollerare la frustrazione e il disagio quando vedo mio figlio in difficoltà oppure nell’immaginare la sua sofferenza l’ansia e la paura diventano ingestibili?
Sono capace di gestire la rabbia e la delusione di mio figlio quando non gli concedo ciò che vuole oppure ingaggio con lui estenuanti prediche per convincerlo della bontà e utilità delle mie decisioni?
Sono paziente abbastanza per vedere mio figlio sbagliare e rimanere ad osservarlo senza intervenire oppure faccio in modo di prevenire ogni suo errore?
Sono certa che pensando al rapporto con i tuoi figli avrai incontrato anche tu qualche volta le difficoltà descritte in queste domande.
Devi sapere allora che queste difficoltà sono legate a capacità e competenze come la resilienza, l’empatia, l’equilibrio emotivo; sono capacità per cui siamo stati “programmati” eppure a volte il software di cui disponiamo ha bisogno di un aggiornamento per funzionare al meglio.
Per cui la mia risposta alla domanda iniziale è che si, genitori si nasce e tu puoi stare tranquillo perchè hai tutto quello che serve per crescere al meglio tuo figlio; allo stesso tempo non devi meravigliarti se a volte dovrai allenarti per tornare a essere ciò per cui sei nato, sviluppando e potenziando le risorse di cui disponi.
Nella maggior parte dei casi l’esperienza sarà la tua insegnante e maggior alleata, ma se in alcuni casi sentissi il bisogno di un aiuto per superare una difficoltà con tuo figlio, fai in modo che diventi un’occasione per potenziare le tue capacità e sentirti più efficace.
Mi auguro di averti dato una nuova chiave di lettura su questo tema e se credi che il contenuto di quest’articolo possa essere di aiuto a qualcuno che conosci ti chiedo di condividerlo.
Se invece senti di aver bisogno di un supporto per potenziare le tue competenze genitoriali, contattami e sarò felice di lavorare con te.
Per approfondire:
Alison Gopnik, 2016 Essere genitori non è un mestiere Cosa dice la scienza sulle relazioni tra genitori e figli. Bollati Boringhieri, Torino.
D.J. Siegel, T.P. Bryson 2012 Dodici strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino. Raffaello Cortina Editore, Milano.
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