
Ero un genitore limitato dagli attacchi di panico. Quello che avrei voluto sentirmi dire.
Oggi ho scelto di dare voce a una mia paziente, che ha da poco concluso vittoriosamente la sua battaglia con il panico e che ha deciso di raccontare la sua esperienza per essere di aiuto a chi si trova a combattere e sente di non avere più armi a disposizione.
Paola (non è questo ovviamente il suo nome) è una donna e mamma di 48 anni, che ha convissuto con il panico per venti lunghi anni. Ha due figli di tredici e otto anni
Raccontaci come è iniziato tutto
Il mio incontro con il panico avviene su un aereo a 28 anni, durante un normale viaggio di lavoro. Tutto inizia con una forte tachicardia e un senso di giramento di testa. Penso che mi sto sentendo male, comincio a vedere in modo sfocato, mi sembra di non riuscire a controllare le mie azioni e ho paura di impazzire e perdere i sensi. Non ho la forza di chiamare aiuto e, scesa a terra, non riesco a presenziare alla riunione di lavoro.
Cosa è successo dopo? Ti è capitato ancora?
Mai più. Non ho mai più provato quelle terribili sensazioni ma il ricordo di quell’evento ha condizionato il resto della mia vita, trasformandomi in una persona ansiosa e insicura.
Non solo non ho più volato (fino a due mesi fa) ma per le mie paure sono arrivata a lasciare il mio lavoro di traduttrice, mi sono rinchiusa a casa con un telelavoro sottopagato, ho allontanato molti dei miei amici e ho condizionato la vita di mio marito e dei miei figli.
Perché hai aspettato così tanto per andare in terapia?
All’inizio non mi ero accorta della gravità della mia situazione, e mi arrabbiavo con chi mi faceva notare che qualcosa non andava. Poi mi sono abituata alle limitazioni che le mie ansie e le mie paure mi imponevano. Avevo raggiunto un equilibrio, precario, doloroso ma da difendere. Mio marito, i miei amici, si sono adattati e io ho costruito una vita a misura dei miei limiti. Quando mi sono accorta di essere in prigione era troppo tardi, non sapevo più come uscirne.
Cosa ti ha convinto a farti aiutare?
I miei figli, anzi la più grande.
Ho sempre pensato che le paure, le preoccupazioni, le bugie dette per non mostrare agli altri le cose che non potevo fare, fossero qualcosa che toccava solo me. Sapevo di non avere la vita che avevo desiderato, ma non pensavo che i miei problemi potessero limitare o influenzare i miei figli. “L’ansia è affar mio”, mi ripetevo, fino a quando mia figlia non ha iniziato ad avere le prime difficoltà: non voleva rimanere fuori casa, si è rifiutata di andare con gli scout in gita e ha smesso di andare a scuola da sola, pretendendo che il papà la accompagnasse.
Quando ho provato a chiederle spiegazioni si è scagliata contro di me dicendo che io ero come lei e che non potevo costringerla a fare nulla.
In quel momento è come se avessi visto la realtà per la prima volta: la mia fragilità e i miei limiti stavano diventando qualcosa su cui anche i miei figli si stavano modellando. So che lei non è d’accordo dottoressa, ma io allora pensavo di essere la causa dei problemi di mia figlia.
Cosa vorresti dire ai genitori che soffrono di attacchi di panico o che sono limitati dall’ansia e dalla paura?
Vorrei dire loro di guardarsi allo specchio e, se la loro vita è limitata come lo era la mia, di correre ai ripari. Ho capito che non è importante solo quello che facciamo per i nostri figli e quello che diciamo loro, ma anche chi siamo.
Chi siamo traspare e influenza la vita di chi ci sta accanto più di quanto possiamo immaginare. Stare bene non solo è un dovere verso noi stessi ma è una responsabilità verso i nostri figli.
Qual è stato l’aspetto più faticoso della terapia?
Più di uno. Devo essere sincera. L’inizio è stato difficile, perché fare il primo passo e fissare un appuntamento con uno psicologo vuol dire non solo ammettere di avere un problema ma anche fare i conti con il fatto che abbiamo bisogno di qualcuno per uscirne.
La cosa più dolorosa però è stata prendere consapevolezza delle occasioni perse, delle cose che non ho fatto a causa delle mie paure e che non potrò fare più. A volte ancora oggi devo gestire la rabbia quando penso ai miei ultimi venti anni ma, come dice lei, dottoressa, il passato è passato e dobbiamo farci pace per costruire un futuro diverso.
Come è cambiata oggi la tua vita?
I miglioramenti sono tantissimi (poter dormire fuori, viaggiare, guidare senza nessuno accanto) ma la cosa più importante è che non mi sento più un bluff.
Prima, pur facendo tantissimo per i miei figli, avevo sempre dentro di me la sensazione di non essere una madre all’altezza, di essere difettosa, oggi invece mi sento sicura e vedo che i miei figli mi guardano in modo diverso. Questo mi infonde una grande serenità.
Ringrazio Paola per la sua testimonianza e spero che la sua voce fiduciosa possa ispirare coraggio a chi, in questo momento, sente di non avere voce per chiedere aiuto.
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