
Stai crescendo tuo figlio nella bambagia? Devi conoscere la storia di Ben Underwood
Oggi voglio raccontarti una storia straordinaria, che mi ha fatto riflettere molto e che spero abbia lo stesso effetto su di te.
La storia parla di un bambino Ben Underwood, della sua coraggiosa mamma Aquanetta Gordon e delle infinite possibilità dell’essere umano.
Ben nasce in California nel 1992 e, alla tenera età di tre anni, gli viene diagnosticato un retinoblastoma. Il tumore costringe i medici ad asportargli entrambi i bulbi oculari e Ben diventa completamente cieco.
Sua madre, sebbene fosse devastata dal dolore, sin da subito dichiarò che Ben avrebbe avuto la sua infanzia felice e la sua disabilità non lo avrebbe menomato.
La donna mantiene la promessa e anziché, come ci si aspetterebbe, proteggere Ben e salvaguardarlo nei confronti dell’ambiente improvvisamente diventato oscuro e difficile da abitare, lo spinge ogni giorno a mettersi alla prova e a confrontarsi con la sua nuova realtà. Si racconta che osservasse da lontano suo figlio cadere e rialzarsi senza mai intervenire se non quando avvertiva un pericolo per la sua vita.
A quattro anni, dopo un anno di cecità e di lotta con il mondo, Ben inizia a fare una cosa che, agli occhi di tutti, appare misteriosa e bizzarra: schiocca la lingua contro il palato, producendo un’infinità di suoni.
Ben si avvicinava agli oggetti e schioccava la lingua più e più volte, tra lo stupore della gente.
Sua madre, come al solito, fu l’unica a comprendere, da subito, che il figlio aveva trovato il suo modo speciale per orientarsi nel mondo diventato invisibile.
Con questo stratagemma, inventato dal cervello, Ben riuscì a fare cose considerate impensabili per un bambino cieco: andava in bicicletta, giocava a basket, sfidava il fratello ai videogame, riuscendo dai suoni a comprendere i movimenti sullo schermo.
Come dichiarò la mamma, la parte più difficile per Ben non fu risolvere la sua cecità ma combattere con l’atteggiamento della gente: il preside che si rifiutava di farlo arrampicare sulle strutture del parco giochi, il consulente scolastico che si adirava perché Ben non voleva utilizzare il bastone e tutti quelli che si relazionavano con lui cercando di proteggerlo, perché vedevano solo la sua cecità.
Il cervello di Ben, tuttavia, lasciato libero di affrontare la nuova realtà aveva riorganizzato la sua percezione adattandosi in modo innovativo, alternativo e perfettamente funzionale alla perdita della vista.
Oggi sappiamo che lo stratagemma utilizzato dal cervello di Ben per “vedere” è qualcosa che esiste in natura da milioni di anni e che prende il nome di ecolocazione: è il meccanismo che utilizzano i delfini e i pipistrelli per orientarsi.
Con il suo schiocco di lingua il cervello di Ben riusciva a comportarsi come un sonar: interpretava i suoni che rimbalzavano sugli oggetti, riuscendo così a disegnare una sorta di mappa utile per muoversi e interagire nel mondo.
Non avendo più la vista, il cervello di Ben aveva riorganizzato il suo ambiente come un ambiente acustico, dando prova non solo della sua plasticità ma della sua attitudine ad adattarsi per risolvere il problema della sopravvivenza.
Ben morì a sedici anni per una recidiva del cancro, ma la sua vita era stata piena: la cecità aveva ridefinito la sua esistenza ma non l’aveva limitata.
Il cervello di Ben aveva compiuto questo miracolo grazie alle potenzialità insite nel suo funzionamento ma, soprattutto, grazie al fatto che qualcuno aveva permesso a queste potenzialità di sbocciare.
Probabilmente se il contesto di Ben fosse stato diverso, se sua madre lo avesse visto come un povero piccolo bimbo divenuto cieco e lo avesse trattato di conseguenza, la sua vita sarebbe stata diversa.
La storia di Ben ci insegna molto su quanto sia importante credere nelle capacità dei propri figli, sostenerle e incentivarle, con un supporto fatto di meno braccia tese ma di uno sguardo fiducioso e paziente.
Aquanetta Gordon, oltre ad essere una mamma coraggiosa, è stata una donna che ha saputo gestire la sua sofferenza e la sua paura (che immaginiamo saranno state grandi) e non ha permesso a queste emozioni di trasformarsi in una gabbia dorata per il figlio.
Dovremmo ricordarci più spesso di questa donna, ogni qualvolta ci spaventiamo per le prove che la vita ci mette di fronte e, soprattutto, quando cerchiamo di ridurre o eliminare ogni genere di difficoltà o complessità dalle vite dei bambini.
Come ci ricorda il neuroscienziato Beau Lotto, dal cui bellissimo libro sulla percezione è tratta la storia che ti ho raccontato, il cervello di fronte a contesti complessi risponderà adattandosi attraverso il rilascio di fattori di crescita, che porteranno allo sviluppo di nuove cellule nervose e di nuove connessioni; al contrario contesti monotoni, privi di “problemi da risolvere” favoriranno lo sviluppo di un cervello abulico.
“Se non la smettiamo di voler mitigare il rischio immediato a spese del rischio a lungo termine, produrremo generazioni adattivamente inadatte, perché se vieni cresciuto nella bambagia diventi bambagia, soffice, morbida e facile da bruciare”.
Sicuramente come genitore non ti viene richiesto il coraggio di Aquanetta Gordon e mi auguro che tu non debba mai vivere con tuo figlio situazioni così estreme, però la prossima volta che di fronte alle difficoltà o piccole sofferenze quotidiane del tuo bambino ti viene da pensare “poverino”, ricorda la storia di Ben Underwood e fidati delle capacità di tuo figlio e delle potenzialità del suo cervello.
Spero che questa storia ti sia piaciuta e se pensi che possa interessare a qualcuno che conosci ti chiedo di condividere l’articolo.
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Per approfondire
Lotto, B. (2017). Percezioni. Come il cervello costruisce il mondo. Torino. Bollati Boringhieri
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