
Sebbene il modello evoluto di terapia strategica sia stato messo a punto negli ultimi trent’anni, la tradizione del pensiero strategico, inteso come un approccio di pensiero pragmatico, che ripudia le verità assolute e i dogmi, attraversa da millenni la storia dell’umanità.
Da Oriente a Occidente troviamo tracce di questa tradizione in alcune pratiche del Buddismo e nello Zen, così come troviamo suoi seguaci tra i filosofi presocratici e i sofisti. Queste antiche tradizioni, sebbene geograficamente e culturalmente lontane, hanno in comune il fatto di non possedere una rigida base teorica ma di esaltare la conoscenza operativa e la loro essenza consiste nella capacità di produrre risultati.
In epoca moderna, le fonti d’influenza più significative sono il lavoro clinico dell’ipnoterapeuta Milton Erickson, gli studi della cibernetica e della teoria dei giochi e il contributo sulla comunicazione e i sistemi complessi degli studiosi del gruppo di Palo Alto. A partire dalla fine degli anni ottanta, Giorgio Nardone nel suo Centro di Terapia Strategica di Arezzo, fondato assieme a P. Watzlawick, contribuisce all’evoluzione dell’approccio strategico formalizzando un modello evoluto di trattamento centrato sull’utilizzo di specifici protocolli e su una forma originale di comunicazione, il dialogo strategico, capace sin dalla prima seduta di provocare cambiamenti nella percezione della realtà del paziente.
A oggi presso il Centro di Terapia strategica di Arezzo sono stati messi a punto e impiegati da terapeuti di tutto il mondo protocolli di trattamento specifici per i principali problemi psicologici: ansia, panico, ossessioni, disturbi ossessivo compulsivi, bulimia, vomiting, binge eating, anoressia, ecc.
In terapia strategica non si parla di guarigione ma di superamento del problema, questo perché la terapia strategica non si basa su un’idea rigida di sanità o malattia ma preferisce ragionare in termini di funzionalità e disfunzionalità; come ci ricorda uno dei suoi fondatori, P. Watzlawick, lo psicologo non è un guru portatore di una visione sull’umanità ma è piuttosto un meccanico abile nell’individuare e disinnescare copioni disfunzionali che creano sofferenza. A differenza delle forme tradizionali di terapia, il terapeuta strategico non studia il passato del paziente e non va alla ricerca delle cause del problema ma sostituisce, nel suo lavoro, la domanda “perché c’è il problema?” con la domanda “come funziona il problema?”.
Secondo questo approccio infatti la soluzione del problema è logicamente connessa non con le cause che l’hanno originato ma con ciò che le persone cercano di fare senza successo per risolverlo. L’obiettivo per il terapeuta pertanto è quello di capire ciò che la persona sta facendo senza successo per risolvere la sua situazione nel presente, le cosiddette tentate soluzioni, e sostituirlo con nuovi e più funzionali copioni comportamentali.
La terapia si svolge seguendo alcuni passaggi fondamentali: si concordano gli obiettivi, si lavora per sbloccare le tentate soluzioni del paziente e per modificare la percezione della realtà di quest’ultimo, si valutano i cambiamenti ottenuti, si consolidano progressivamente i risultati fino a raggiungere un nuovo equilibrio funzionale.
Se l’intervento funziona, fin dalle prime sedute si osserva nel paziente una riduzione dei sintomi presentati e un progressivo cambiamento nella percezione di sé, degli altri e del mondo e, più in generale, una percezione più elastica della realtà, un miglioramento dell’autostima e dell’autonomia personale. Se l’intervento non produce gli effetti preventivati si modificano le strategie e si valutano nuovamente i risultati fino ad arrivare, attraverso progressivi aggiustamenti della strategia, alla soluzione.
Seguendo questi passaggi spesso si riescono a sbloccare in tempi brevi anche disturbi che persistono da molto tempo, sfatando il mito, molto diffuso in psicoterapia, che problematiche serie o che durano da molti anni hanno bisogno necessariamente di lunghi e complicati percorsi di terapia per essere risolte.
Il livello di efficacia degli interventi è mediamente dell’87% per la maggior parte dei disturbi, per arrivare in alcune problematiche specifiche, come gli attacchi di panico e le fobie, a un’efficacia del 95%.